Jackie Chan, insulto di cittadinanza

Il caso del "razzismo" anti coreano

Jackie Chan, insulto di cittadinanza
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È severamente vietato dare del cinese ad un sudcoreano, si rischia la squalifica di due mesi. È accaduto a Marco Curto, difensore venticinquenne, ex delle giovanili Milan, passato al Como e oggi in prestito al Cesena in serie B. Era luglio quando il Como giocò a Marbella contro gli inglesi del Wolverhampton, la partita fu tutt'altro che amichevole, durante il secondo tempo, il portoghese Podence, colpì con un pugno un avversario per reagire a quello che riteneva fosse un insulto razzista rivolto al suo compagno Hwang Hee-Chan. Il colpevole dell'ingiuria, Marco Curto per l'appunto, avrebbe sussurrato, ad un proprio sodale del Como, di lasciar perdere: «Ignoralo, crede di essere Jackie Chan». Nessuna notizia del comasco centrato dal cazzotto però fibrillazione massima della federcalcio sudcoreana, dell'Uefa, della Fifa, forse di Amnesty International, con successiva condanna e squalifica per 10 giornate, ripeto 10 giornate, del Curto. Chiariamo: Jackie Chan è un famosissimo attore cinese, nato ad Hong Kong, protagonista in duecento film, esperto di arti marziali, nel 2017 Oscar alla carriera.

Per gli integerrimi (!?) giudici della Fifa il paragone con Chan è profondamente discriminatorio nei confronti dell'ingenuo Hwang Hee-Chan. In breve: sarebbe come se Renzi, dialogando con la Schlein, dicesse di Giuseppe Conte: «Ignoralo, crede di essere Beppe Grillo».

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