La Serie A riprende dopo un’estate affollata da Europei, Coppa America, Olimpiadi e le solite, stucchevoli baruffe chiozzotte del calciomercato. Gli abbonamenti per le pay tv sono sempre più cari, lo spezzatino regna sovrano, le polemiche arbitrali pure e la sensazione è che il massimo campionato italiano sia fedele alla massima del Gattopardo: cambiare tutto perché non cambi niente. Una cosa che è bene che non cambi è il nostro appuntamento settimanale con il meglio ed il peggio del pallone tricolore. Vi promettiamo onestà intellettuale, una penna ancora più affilata ma, più che altro, di non prenderci mai troppo sul serio. Benvenuti al primo pagellone del lunedì della nuova stagione di Serie A: ci sarà parecchio da divertirsi.
Lazio, s’è svegliato Castellanos (7)
Iniziare la stagione dopo l’ennesima rifondazione ed i tanti, forse troppi addii importanti non è certo il massimo della vita ma la Lazio arrivava circondata da molta curiosità. Quando la cappellata di Rovella consegna al Venezia un insperato vantaggio, ti aspetti che l’undici di Baroni sbandi e rischi l’imbarcata. La Lazio, invece, ha il merito di cambiare pelle, adattarsi e ribaltare senza troppi problemi la partita, confermando un cinismo ed una solidità insperata a questo punto della stagione. Provedel non è esente da colpe, Lazzari e Casale rischiano un po’ troppo e, se Gytkjaer fosse stato in serata, anche Romagnoli avrebbe faticato di più, come peraltro Marusic. Per fortuna c’è il solito Guendouzi a correre come un matto e recuperare palloni su palloni.
Le cose migliorano parecchio dalla cintola in su, dove le Aquile si stanno ritrovando: se Noslin è ancora poco efficace, Dele-Bashiru è tanto versatile quanto efficace in entrambe le fasi ma la differenza la fa sempre Zaccagni. L’azzurro si dimostra in forma e niente affatto intimorito dalla fascia da capitano: gelido dagli undici metri, avrebbe potuto fare ancora meglio con un po’ più di coraggio nell’uno contro uno. La notizia migliore arriva dal Taty Castellanos, che sembra rifiorito da quando è uscito dal cono d’ombra di Ciro Immobile: l’argentino è finalmente cattivo, cinico quanto basta e capace di gettarsi alle spalle gli errori, continuando come se niente fosse. Gol, rigore guadagnato e due legni nella ripresa: se il Taty si sveglia davvero sono dolori per tutti.
Che bello il Torino di Vanoli (6,5)
Presentarsi a San Siro con una tifoseria in rivolta, un calciomercato inesistente ed un’infermeria stracolma non è certo il massimo per un tecnico che finora la Serie A l’aveva vista solo in televisione. Il debutto del Toro di Paolo Vanoli, invece, è di quelli che si fatica a dimenticare: una prova attenta, di carattere, concreta quanto basta per mandare in tilt il Diavolo che, forse, si era presentato con un po’ di supponenza. Una volta tanto, sarebbe il caso di dimenticare il risultato: la prova del Torino meritava ampiamente i tre punti, persi solo per un eccesso di prudenza nel finale, quando la gara sembrava chiusa a tripla mandata. Questo non dovrebbe far dimenticare il fatto che i granata siano stati eccellenti nell’applicare i dettami tecnici dell’ex allenatore del Venezia.
Visto che di insufficienze vere non ce ne sono, vale la pena di far notare l’ottimo debutto di Saul Coco, che aveva il compito ingrato di sostituire Buongiorno o la prova maiuscola dell’ex Raoul Bellanova, cresciuto nel Milan e capace di annichilire Saelemaekers, fornendo assist su assist in avanti. Se Ricci e Linetty fanno il compitino, meglio Ilic, sfortunato quando Maignan gli nega il 2-0 con un paratone: cosa dire poi di Lazaro, che ridicolizza Calabria prima di fornire un assist perfetto per il raddoppio di Zapata? Il colombiano fa tutto benissimo, prendendosi sulle spalle il Toro e mostrando di non aver perso il vizio del gol: meno male, visto che Sanabria fatica ancora parecchio. Se Adams e Karamoh sembrano promettenti, il lavoro finora fatto da Vanoli è quasi perfetto: speriamo sia l’inizio di una bella stagione, il popolo granata se la meriterebbe davvero.
Quanta confusione alla Roma (6)
Iniziare il campionato con la trasferta mai banale in quel di Cagliari, contro una squadra fermamente determinata a rimanere in Serie A non sarebbe mai stato semplice. Farlo con lo psicodramma Dybala, un discreto caos societario e diversi pezzi da inserire in squadra spiega il pareggio che la banda De Rossi riporta nella capitale. Eppure la Roma non ha certo deluso alla Unipol Domus, mettendo una buona prestazione, con il nocciolo duro dei pretoriani di Capitan Futuro a fare più che abbastanza per meritare i tre punti. Come mai deve accontentarsi di un pari? Perché entrare negli schemi della Roma di De Rossi non è semplice e nemmeno gente talentuosa come Soulé o Le Fee può saltare le tappe: la musica cambierà presto, basta lavorare duro.
Va bene che i sardi erano un po’ leggerini in avanti ma N’Dicka, Mancini e Celik hanno rischiato poco, con Svilar che ci mette una pezza enorme sul destro di Marin nel finale. Cristante si riprende nel secondo tempo mentre Pellegrini ha la colpa di mangiarsi un gol fatto ad inizio ripresa. Il problema vero è un altro, però: nonostante Zalewski ci metta tanta corsa ed il solito impegno, la Roma inizia a girare solo quando entra Dybala, il separato in casa. In nemmeno dieci minuti riesce a fornire quegli assist che Dovbyk ha aspettato in gloria per più di un tempo e c’è voluta la traversa per negare all’ucraino la rete della vittoria. Nonostante una prova più che decente, il fatto di dover forse fare a meno del giocatore più determinante in rosa è un segnale preoccupante per il popolo romanista. Tutta questa confusione non aiuta nessuno: serve fare chiarezza subito.
Bologna, due punti buttati (5,5)
Tornare in campo dopo una stagione memorabile, con la tifoseria in fibrillazione in vista del sorteggio di Champions, non sarebbe stato semplice nemmeno per uno dei tecnici più promettenti. Vincenzo Italiano fa buon viso a cattivo gioco e dimostra che, anche senza alcuni dei talenti più celebrati, ripetere la cavalcata trionfale dell’undici di Thiago Motta non è impossibile. Il Bologna gioca bene, è propositivo e sembra perfettamente in grado di mettere in ghiaccio l’incrocio col cantiere Udinese. Eppure, nonostante una prestazione con pochissime sbavature, esce dal campo con un solo punto e la sensazione che, alla lunga, questo passo falso potrebbe costare caro.
La linea a difesa di Skorupski sbaglia davvero poco, a parte l’errore di Erlic su Payero che manda sul dischetto Thauvin. Lykogiannis contribuisce quasi niente in avanti ma la mediana rossoblu fa la differenza: se Freuler e Moro sono precisi, la scossa la dà il solito Riccardo Orsolini, pietra angolare di questo Bologna. Col senno di poi, Italiano avrebbe fatto meglio a tenerlo in campo di più ma comunque ha fatto davvero bene. Gli emiliani hanno parecchie occasioni di chiudere i conti nel primo tempo ma Ndoye le spreca tutte. Visto il buon impatto, Odgaard e Dallinga sarebbero dovuti entrare prima ma l’unica cosa che conta è che il Bologna ha lasciato per strada due punti. Errori del genere, specialmente quando si gioca tre partite a settimana, si pagano cari.
Inter, Thuram non basta (5,5)
Che il Grifone di Gilardino fosse la kriptonite della Beneamata non è proprio una novità ma ben pochi si aspettavano che la banda Inzaghi facesse una così magra figura in quel di Marassi. C’è chi si sta arrampicando sugli specchi dando la colpa alla disattenzione di un giovane come Bisseck, peraltro non nuovo a strafalcioni del genere ma l’Inter vista al Ferraris sembra aver fatto parecchi passi indietro rispetto alla macchina perfetta della doppia stella. Sommer sceglie la partita sbagliata per fare i pochi svarioni che si concede ogni anno ma, in generale, è tutta la difesa a non brillare, con l’unica eccezione del solito Bastoni, concentrato e determinato quanto basta. La cosa più preoccupante è la sensazione di sufficienza, come se l’Inter avesse sottovalutato l’impegno.
L’inossidabile mediana nerazzurra non brilla particolarmente, con un Calhanoglu a corto di fiato, un Barella decisamente più in palla di un inguardabile Mkhitaryan e di un Dimarco che non è letale come suo solito. Per fortuna ci pensa Marcus Thuram a tirare la carretta, con una prestazione da applausi a scena aperta. Ogni volta che tocca palla dà la sensazione di poter segnare ma è particolarmente efficace quando entra in campo il famelico Frattesi, che sfrutta la mezz’ora scarsa che gli concede Inzaghi al meglio. Lautaro ha a malapena recuperato da un’estate faticosa e si vede mentre non male il quarto d’ora di Taremi. Il problema sembra più mentale che fisico, il che potrebbe essere un problema: per vincere ancora servirà un atteggiamento molto diverso.
Milan, basta con gli esperimenti (5)
Errare è umano, perseverare diabolico. Proprio quando avevano festeggiato la fine degli estrosi esperimenti di Pioli, il debutto del nuovo Diavolo di Paulo Fonseca sembra riproporre il peggio della triste coda dell’era del tecnico emiliano. La scelta di tenere in panchina un Theo Hernandez non al meglio aveva preoccupato non poco i fedelissimi del Meazza, i quali non si aspettavano certo un inizio di campionato così disastroso. Troppo facile tirare la croce sul malcapitato Thiaw, il cui intervento maldestro è costato l’1-0 del Toro ma è tutta la retroguardia rossonera a vivere una giornata da incubo: Calabria incerto, Tomori si perde Zapata spesso e volentieri mentre il povero Saelemaekers, disperatamente fuori posizione, passa la sera ad inseguire Bellanova.
Senza le parate miracolose di Magic Mike, il Toro avrebbe travolto con merito il Diavolo, che sarebbe uscito dal campo subissato di fischi. In realtà funziona poco o niente: Bennacer non si accende neanche per sbaglio, Loftus-Cheek ci riesce solo da trequartista mentre Chukwueze spreca l’ennesima occasione a San Siro. Aggiungi il solito Leao sprecone e un Jovic che conferma l’allergia alla titolarità ed il pasticcio è servito. A salvare Fonseca ci pensano le sostituzioni: Reijnders fa una mezz’ora da applausi, Musah ci mette voglia e cattiveria ma sono decisivi Morata ed Okafor. Lo spagnolo esce furibondo per i due punti persi mentre lo svizzero zittisce i critici con un gol pesantissimo: non riescono però a rendere il debutto del tecnico lusitano meno fallimentare. Per l’amor di Dio, piantatela con gli esperimenti.
La Viola di Palladino è già in crisi (5)
Si dice che non c’è momento peggiore di affrontare chi ha vinto la Serie B dell’inizio di campionato, quando l’impatto con la massima serie non ha ancora demolito le certezze di chi è reduce da una cavalcata trionfale. Considerato quanto ha sofferto la nuova Fiorentina di Palladino al Tardini, ci sentiamo di confermare in pieno questa legge non scritta. Nonostante il tanto entusiasmo che lo circonda, la prima dei Viola è deficitaria: Martinez Quarta e Pongracic fanno fare il comodo loro a Man e Bonny, beccandosi pure un rosso per il disturbo. Per gettare nella mischia un classe 2005 come Comuzzo ci vuole coraggio ma contro uno come Man sarebbe servita più esperienza. Alla fine, nel primo tempo la Fiorentina soffre le pene dell’inferno.
Non tutto è da buttare: Dodò ci mette la solita fisicità, Mandragora è pericoloso dalla distanza mentre Colpani se la cava più che discretamente alla prima con la maglia viola ma ci vuole comunque una partita maiuscola del solito Cristiano Biraghi a togliere le castagne dal fuoco. Il pareggio è tutta farina del suo sacco, l’ennesima magia su punizione che fa scendere una lacrimuccia agli amanti del calcio di una volta. Meno male, perché come negli ultimi mesi dell’era Italiano, l’attacco viola è assente ingiustificato: Ikoné non si fa mai vedere, Kouame fornisce un assist a Kean e poco altro mentre l’ex juventino ci mette tanta voglia ma ha davvero pochi palloni giocabili. È presto per dare giudizi ma questa Fiorentina sembra avere già grosse gatte da pelare.
Napoli, un rumorosissimo crollo (3)
Alzi la mano chi si sarebbe aspettato un Napoli così molle, distratto nella mai semplice trasferta al Bentegodi. Senza niente togliere al lavoro di Zanetti o al debutto spettacolare dei carneadi Mosquera e Livramento, vista l’enorme differenza in quanto a talento, questo risultato proprio non si spiega. Chi ha avuto la sfortuna di seguire la disgraziatissima scorsa stagione dei campani sa bene che partite del genere, dove le sufficienze si contano sulle dita di una mano sono state fin troppe ma l’arrivo di Conte avrebbe dovuto farle diventare un brutto ricordo. Invece anche stavolta, a parte Meret, Di Lorenzo e l’ex Ngonge, il resto del Napoli è da insufficienza netta, soprattutto per la mancanza di quella cazzimma che all’ombra del Vesuvio è sempre fondamentale.
Dovunque ti giri è un pianto: Rrahmani evapora nella ripresa, Juan Jesus fa una pessima figura con Mosquera, Mazzocchi e Anguissa non fanno disastri ma sono chiaramente fuori forma. La situazione è disperata dalla cintola in su: Lobotka regge solo un tempo, Spinazzola ed Olivera sono evanescenti mentre Politano regge solo fino all’infortunio di Kvarastkhelia per poi diventare un ectoplasma a zonzo per il campo. La palma del peggiore in campo se la giocano Raspadori e Simeone, che riescono ad essere allo stesso tempo spaesati, indolenti e nervosi, impresa non da tutti.
La bacchetta magica non ce l’ha nessuno, ovvio, ma Conte di solito almeno il carattere riesce ad insegnarlo ovunque vada. La società non è certo priva di colpe ma col fatto che il Napoli abbia zero idee e zero voglia non c’entra niente col mercato. Quello è tutto colpa di Conte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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