I punti chiave
La lunga corsa della Serie A è quasi al capolinea e, una dopo l’altra, le risposte che questa stagione deve ancora offrire stanno arrivando. Mentre Atalanta e Fiorentina hanno chiaramente la testa alle rispettive finali europee, il resto del mondo del calcio italiano è squassato da polemiche, rumours di mercato e il caos societario che, per ragioni diverse, sta scuotendo Napoli e Inter. Dopo così tante chiacchiere, tornare a parlare di calcio ha il sapore di una vera e propria liberazione. Per fortuna questo fine settimana del massimo campionato italiano, pur senza lo scontro tra il Bologna delle meraviglie e la prima di Paolo Montero sulla panchina della Juventus, ha offerto parecchie cose di cui parlare. Cosa vi siete persi? Un’Atalanta seria e determinata, un Torino affamato, l’ennesimo capolavoro di Sor Claudio Ranieri ed il quasi miracolo inutile della Lazio nella festa scudetto dell’Inter. C’è anche stato il pari promettente della Viola, la prova frustrante della Roma ma anche l’ennesimo disastro di un Milan allo sbando. Vi raccontiamo tutto come al solito nel nostro pagellone del lunedì.
Atalanta, così si va lontano (7,5)
Come si fa a rimanere compatti e concentrati a quattro giorni dalla prima finale europea nella storia del club bergamasco? Come si fa a non sottovalutare una squadra come il Lecce che, messa al sicuro la salvezza, non ha niente da chiedere a questo finale di campionato? Chiedete a Gasperini che io davvero non so come ci sia riuscito. Il tecnico della Dea ha il coraggio di schierare il classe 2003 Bonfanti e non si pente di questa scelta: il giovane milanese, al debutto da titolare, non si fa dispiacere accanto a Toloi e Hien, compensando la partita mediocre di Hateboer. Il Gasp non indovina del tutto la mediana: se Scalvini brilla da quasi regista, Pasalic viaggia con freno a mano tirato mentre Zappacosta fatica un po’ il confronto con Gendrey. Il tecnico bergamasco, però, ha il merito di azzeccare i cambi: sia Ederson che Adopo se la cavano egregiamente nella ripresa.
La cosa che, però, dovrebbe preoccupare Xabi Alonso e le Aspirine è il fatto che in avanti l’Atalanta funzioni alla grande: a parte El Bilal Tourè, che si muove molto ma manca di concretezza davanti alla porta, l’attacco della Dea è quello di sempre. Miranchuk si fa perdonare le disattenzioni delle ultime partite con una bella prova, sempre insidioso, creativo nei passaggi, incluso il corner vincente che vale il gol della sicurezza. La partita di Scamacca è divisa in due: primo tempo poco convincente, secondo tempo da standing ovation, prima fornendo un bell’assist al sodale De Ketelaere, poi timbrando il cartellino di testa e chiudendo i conti con il Lecce. Carattere ma anche classe cristallina come quella del belga, che segna il vantaggio con un delizioso tocco sotto. A Dublino sarà durissima ma con questa mentalità la Dea può andare davvero lontano.
Torino, che fame d’Europa (7)
Con l’addio di Juric dietro l’angolo e l’obiettivo di una stagione in Europa finalmente a portata di mano, tutti i tifosi del Toro si aspettavano una prova d’orgoglio da parte dei granata. Aiutati non poco da un Diavolo in disarmo, il Torino è riuscito a piegare i rossoneri con una partita di livello, anche se non priva di sbavature. Il rischio di queste partite di fine stagione è di sottovalutare le prestazioni di queste squadre, spiegando tutto con la stanchezza delle avversarie. Niente del genere: il Toro è sceso in campo con la rabbia e la fame necessaria per fare a pezzi un Milan che non sta rovinando l’addio di Stefano Pioli. Considerato tutto, non è cosa da poco. I protagonisti sono i soliti noti, da Buongiorno che ridicolizza Jovic all’ex Rodriguez che prima imbecca Zapata per il vantaggio, poi si inventa un golazo che gronda veleno.
Non tutto ha funzionato, a partire dall’errore clamoroso di Masina che riapre temporaneamente la partita alla prova mediocre di Ricci, che in avanti si vede poco o niente. Per fortuna che l’altro ex Bellanova fornisce un cross perfetto ad Ilic, che corona in questo modo una prestazione davvero importante. Per fortuna stavolta in avanti il Toro gira alla grande: Juric rischia qualcosa schierando l’incostante Pellegri ma l’ex rossonero non delude, lasciando sul posto Bennacer sull’azione del raddoppio e mettendo una prova molto generosa. Aggiungi poi la solita gara maiuscola di Duvan Zapata, che non solo segna ma spunta dappertutto, anche in difesa per dare una mano ai compagni. Insomma, una partita quasi perfetta quella del Torino, che mostra ancora una volta quanto sia cresciuto dal punto di vista mentale. La speranza è che l’addio di Juric non rovini tutto.
Cagliari, monumentale Ranieri (7)
Quando il Cagliari annunciò l’ingaggio di Claudio Ranieri come allenatore dei sardi, il mio primo pensiero è stato “ma chi te lo fa fare?”. Dopo una carriera maiuscola, dopo il miracolo col Leicester, dopo le tante salvezze portate a termine, perché infilarsi in una situazione del genere alla tua età? Perché lottare ancora una volta contro i mulini a vento, con una rosa ai limiti della decenza, rincorrendo una salvezza che all’Unipol Arena sembrava un miraggio? Chi ha visto la prova di oggi contro il Sassuolo capirà perché il calcio continua ad avere bisogno del tecnico romano. Nella classica partita da sei punti, i sardi non brillano ma mostrano ancora il potere del carattere e della tigna che Ranieri costruisce nelle sue squadre. Trentatré anni dopo, Sir Claudio compie un altro capolavoro, sempre senza mai tradire la sua idea di calcio: scusate se è poco.
Le salvezze si guadagnano in partite del genere, sporche, difficili, nelle quali sono gli episodi a fare la differenza ma il fatto che gente come Zappa e Nandez ci metta tanta grinta e qualità non nasce per caso. Se Sulemana è a volte caotico ma semina il panico con le sue accelerazioni, Mina, Dossena ed Augello si fanno perdonare qualche errore di troppo con fisicità e tenacia. Deiola e Gaetano sono mediocri mentre Viola combina poco a parte la punizione vincente. Shomurodov si sacrifica tanto mentre Luvumbo non va oltre a qualche accelerazione importante ma, per fortuna, i sardi si possono aggrappare alle prove di due protagonisti. In neanche mezz’ora Matteo Prati segna il gol della salvezza, sgomitando e lottando fino al triplice fischio mentre Gianluca Lapadula sbaglia parecchio nella prima ora per poi guadagnarsi con la sua tipica furbizia il rigore della sicurezza. Ai puristi non piacerà, ma di questo calcio verace c’è ancora tanto bisogno.
Lazio, quasi miracolo inutile (6,5)
Dopo una stagione complicata, con troppi alti e bassi, doversi giocare le residue speranze di vincere il duello con la Roma per l’Europa League proprio nel giorno della festa dei campioni d’Italia sembra una iattura. L’undici di Tudor è ancora a metà strada dell’evoluzione immaginata dal tecnico ma si presenta con il piglio giusto, sfiorando quella che, fino a non molte settimane fa, sarebbe sembrata una mission impossible. I passi avanti della Lazio targata Tudor sono innegabili, specialmente in difesa, dove la crescita di Gila e Casale è davvero notevole. Aggiungi poi la prova da applausi a scena aperta di Ivan Provedel e si capisce come i biancocelesti non avrebbero rubato niente se fossero usciti da San Siro coi tre punti. Peccato che la doccia gelata arrivi proprio grazie alla disattenzione di Marusic, che nelle scorse settimane era stato tra i migliori.
La mediana nerazzurra non è quella dei tempi d’oro ma comunque le prestazioni dell’ex Vecino e di Rovella, alla prima da titolare con Tudor, sono davvero convincenti, con l’uruguagio che va ad un niente dal 2-0 nella ripresa. Se Pellegrini non convince e Zaccagni parte bene per poi spegnersi, la prova di Kamada è ai limiti della perfezione: gol a parte, il lancio per Castellanos sul gol annullato è farina del suo sacco, oltre a recuperare palloni su palloni. Se il giapponese è apparso trasformato, il cammino di Felipe Anderson e Luis Alberto è contrario, visto che sono entrambi fallosi e poco efficaci. Guendouzi ed Hysaj fanno discretamente mentre la partita di Castellanos è un mezzo enigma: tanto devastante è nel primo tempo, quanto sprecone nella ripresa. I passi avanti ci sono, a conferma della bontà del progetto: peccato che non abbiano ancora dato i frutti sperati.
Inter, che festa sia (6)
Dover giocare contro una Lazio col dente avvelenato proprio nel giorno della festa scudetto, di fronte alla scenografia commovente del Meazza non sarebbe mai stato semplice. Per fortuna l’Inter ha ancora sufficiente benzina ed amor proprio per evitare di fare una figura barbina e portare a casa un punticino che fa bene all’orgoglio ma soprattutto alla Roma di De Rossi. Inzaghi almeno salva la festa scudetto e soprattutto porta un minimo di tranquillità in un ambiente squassato dal caos societario. Col senno di poi, considerato quanti dei titolarissimi in campo al Meazza sembrassero davvero aver finito la benzina, verrebbe da domandarsi se fosse davvero il caso di metterli in campo. D’altro canto, però, se si fosse ripetuta una prova come quella col Sassuolo, gli ululati dei romanisti si sarebbero sentiti fino alla Pinetina.
Come ha giocato l’Inter? Luci e ombre. Si salva sicuramente Pavard, provvidenziale su Castellanos nel secondo tempo ed il solito Dimarco, che ingaggia un duello rusticano con il rientrante Provedel che mette paratone su paratone. Il resto è o rivedibile o troppo stanco per fare la differenza. Acerbi torna dopo tre giornate di stop e fa un paio di cappellate clamorose prima di riprendersi nel secondo tempo mentre Sommer alterna interventi micidiali con distrazioni davvero inconsuete, come quella sul gol di Kamada. Le prestazioni sottotono di Calhanoglu e Mkhitaryan si spiegano con la tanta stanchezza mentre nemmeno l’ottimo Alexis Sanchez riesce a far dimenticare la prova molto opaca di Thuram. Alla fine serve l’acuto del partente Dumfries per riscattare le sue ultime pessime uscire e salvare almeno un punticino. Come antipasto alla gran festa, ci può stare.
Fiorentina, un pari promettente (6)
Uno dei problemi più intrattabili del calcio è come affrontare una partita contro un avversario non banale a pochi giorni dalla gara più importante della stagione. Ospitare al Franchi un Napoli la cui crisi non sembra aver fine non sarebbe certo stata una passeggiata di salute per l’undici di Italiano. Se la mente è chiaramente alla finale di Conference League ad Atene, la prova della Viola non è del tutto deludente. Considerato quanto fosse importante tenere i partenopei a distanza di sicurezza, rispondere a tono dopo lo svantaggio iniziale non era scontato tanto che al triplice fischio molti saranno delusi per la mancata vittoria. Considerato l’inevitabile turnover, la partita dei toscani è tutto sommato discreta, con qualche prestazione convincente come quella di Biraghi, cui si deve non solo la gran punizione del pareggio ma anche parecchi cross pericolosi.
Dando un’occhiata ai vari protagonisti, non tutto è rassicurante: se Dodo migliora nel secondo tempo, Quarta ha sulla coscienza il gol del Napoli mentre sia Kouame che Ikoné vivono una serata decisamente dimenticabile. La mediana dei viola è senza infamia e senza lode, con Arthur e Bonaventura meno brillanti del solito mentre Nico Gonzales non va oltre a qualche puntata in velocità e un paio di tiri dalla lunga distanza. I segnali positivi, una volta tanto, arrivano dal reparto avanzato: Beltran suona la carica dopo lo svantaggio ed è sempre pericoloso sulla trequarti mentre Nzola si fa perdonare una prima mezz’ora inguardabile con un bel gol che vale il momentaneo vantaggio. Ancora più promettente l’impatto del Gallo Belotti, che entra col piglio giusto e dimostra di aver fatto diversi passi avanti. Basterà per sollevare al cielo la coppa?
Roma, perché ti complichi la vita? (6)
La forza dei gruppi vincenti, quelli costruiti come si deve da tecnici che sanno il fatto loro, si vede da come giocano partite complicate dopo aver subito delusioni atroci e sconfitte pesanti. Una volta scomparso il sogno della finale di Europa League, la Roma si gioca il tutto per tutto contro una squadra mai semplice come il Genoa di Gilardino. L’assist della Lazio, raggiunta in extremis al Meazza dall’Inter, sembrava il più invitante ma non tutto è andato liscio nella gara dell’Olimpico. La difesa torna solida, con Ndicka che si batte con Retegui mentre Angelino fa una gara impressionante, visto che oltre alla traversa fornisce anche parecchi palloni interessanti. Come si spiega la fatica atroce che fa la Roma per portare a casa il risultato? Colpa in parte del flop di Pellegrini, scarico, impreciso, quasi scoraggiato ma soprattutto della prestazione atroce di Paredes: dopo una partita incolore, rovina tutto mandando a quel paese l’arbitro per un giallo che ci stava.
Non tutto è a posto nel centrocampo della Roma: Cristante è tanto dinamico quanto impreciso nell’ultimo passaggio mentre Bove conferma ancora di dover crescere parecchio dal punto di vista tecnico e tattico. De Rossi ha il merito di capire che c’è bisogno di più qualità in avanti ed inserisce Dybala ed El Shaarawy. La mossa funziona solo a metà: il Faraone è iperattivo sulla trequarti e fornisce il cross vincente mentre la Joya è troppo acciaccato per farsi largo nella difesa genoana ed incidere in maniera significativa. A sbrogliare la matassa per i giallorossi ci pensa Romelu Lukaku, che saluta l’Olimpico facendo passare una serata da incubo a De Winter per poi trovare la rete con una zuccata nel finale. Se il lavoro dello staff di De Rossi è sicuramente notevole, l’impressione è che la Roma sia ancora a metà del guado. I tre punti sono pesanti ma la domanda rimane: perché i giallorossi devono sempre complicarsi la vita?
Napoli, l’orgoglio non basta (5,5)
Le ultime partite di una stagione disgraziata sono sempre le più difficili, specialmente quando all’interno dello spogliatoio tutti non fanno altro che pensare a cosa succederà nelle prossime settimane. Farlo con un tecnico già sfiduciato e parecchi giocatori con le valigie già pronte per la loro prossima avventura è ancora più complicato. Dopo una serie di prestazioni inqualificabili, il Napoli di Calzona sembra un altro quando arriva al Franchi, facendo vedere un buon calcio e riuscendo pure a passare in vantaggio. Sembra un miracolo ma, purtroppo per i tifosi partenopei, non dura. Come succede troppo spesso, i partenopei calano drammaticamente e subiscono l’ennesima rimonta. Per fortuna, almeno stavolta, una reazione d’orgoglio nel finale evita almeno di tornare a casa con zero punti. Questo, però, non vuol dire che i problemi siano risolti.
Se Mazzocchi non è del tutto convincente, Rrahmani ed Anguissa ci mettono una bella pezza, il primo segnando il vantaggio, il secondo contribuendo in avanti. Ostigard ed Olivera sono discreti, Lobotka è un mezzo disastro mentre Cajuste non sarebbe nemmeno male se non sprecasse un paio di buone occasioni. I limiti del Napoli si vedono nelle prove di Politano e Simeone: l’azzurro pareggia il corner del vantaggio con la palla persa sull’azione del 2-1 viola mentre l’argentino è troppo solo per incidere. L’assenza di Osimhen è compensata da un buon Kvaratskhelia che sfiora il gol nel primo tempo per poi chiudere la partita con una punizione delle sue. Nonostante le decisioni arbitrali discutibili e il quasi gol di Raspadori, il verdetto non è positivo. Bene l’orgoglio e la voglia di chiudere in maniera dignitosa ma non esiste che questo gruppo giochi così male.
Milan, che brutto finale (4)
L’unico compito che aveva Stefano Pioli in questo finale di stagione sembrava semplice: chiudere la stagione con qualche acuto, così da lasciare un buon ricordo ai tifosi rossoneri. Invece di zittire la curva in rivolta, il Milan mette un primo tempo indecente ed una ripresa sicuramente sotto tono, finendo umiliato di fronte ad un Toro tanto orgoglioso quanto affamato. Si fa in fretta a dare la colpa all’ennesima serataccia, alla mancanza di motivazioni, alla sfortuna ma, in realtà, questo calvario infinito vede tanti colpevoli e pochissimi innocenti. Se la società non si è certo ricoperta di gloria nella gestione del momento, le prove di parecchi protagonisti andrebbero castigate con termini decisamente poco urbani che preferisco evitarvi. Francamente, a parte Pulisic, unico a crescere nel secondo tempo, si salva solo la tigna di Reijnders e la freddezza di Bennacer, che si fa perdonare la dormita su Pellegri sul raddoppio granata.
Una prestazione così disastrosa della difesa è da un pezzo che non si vedeva: se Thiaw si dimentica Zapata, a Kalulu non pare carino marcare Ilic mentre Tomori ha almeno la decenza di infuriarsi coi compagni per una prestazione indecente, anche se, detto tra di noi, non è esente da colpe. Il resto? Terracciano fatica con Bellanova ma tutto sommato regge, come fa Florenzi mentre Musah la voglia ce la mette sempre, anche quando non gli riesce niente. Meno comprensibili le prestazioni di Okafor e Leao: lo svizzero sfiora il gol nel primo tempo e fa qualche sgasata mentre il lusitano se non altro è più vivace, andando vicinissimo al golazo.
A tradire Pioli, invece, l’ex salvatore della patria rossonera Luka Jovic: il serbo è uno spettatore non pagante, sembra uno capitato lì per caso, cosa davvero incomprensibile, considerato che si sta giocando la permanenza a Milanello. Insomma, un finale brutto che più brutto non si può: i tifosi del Diavolo non se lo meritano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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