La partita coraggiosa di Spalletti e il segnale dato con Immobile a casa

Gioca chi sta bene: così il ct che ha raccolto una squadra da cui Mancini era fuggito non solo per soldi, ma anche per paura di non qualificarsi

La partita coraggiosa di Spalletti e il segnale dato con Immobile a casa
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Aggrappati a Luciano Spalletti. Che ha preso un treno in corsa e l'ha portato a destinazione tra qualche sussulto, uno stop doloroso e senza bloccare i freni se non nell'ultimo faticoso quarto d'ora nella stazione di Leverkusen. Onore al macchinista che ha preso il posto di un collega fuggito dalla locomotiva azzurra anche perché conosceva il rischio di un nuovo deragliamento dai binari. In assenza di tanti talenti, la nostra Nazionale deve affidarsi a idee e spirito, quelle che si erano ormai esaurite con la gestione Mancini e che il suo successore ha messo in evidenza per lunghi tratti delle sue prime sei partite da ct.

È vero, arriviamo agli Europei con un biglietto di seconda classe e la parola impresa può sembrare anche azzardata. Senza parlare di quel possibile rigore non assegnato all'Ucraina che ci ha scatenato contro l'ira di mezza stampa europea. E che ha suscitato il commento (evitabile) di De Laurentiis: «Abbiamo giocato bene ma è mancato quel rigore...». Ci voleva coraggio a prendere la guida di una Nazionale arrivata sul tetto d'Europa ma che rischiava di abdicare subito. Ci voleva coraggio a lasciare a casa Immobile (il cannoniere azzurro migliore in attività arrivato persino a 200 reti con la maglia della Lazio) e a consegnare lunedì una maglia da titolare al quasi debuttante Buongiorno, diventato scudo umano nel finale da brividi dopo un sofferto avvio. Ci voleva coraggio nelle scelte per le due gare chiave, valutando più lo stato di forma che l'esperienza. Spalletti non aveva debiti di riconoscenza verso gli eroi dell'Europeo inglese anche se di quel gruppo è «sopravvissuta» ancora la metà dei calciatori. Ci voleva coraggio a mettere un punto alla precedente gestione nel mezzo del cammin di una qualificazione e a mostrare immediati segni di discontinuità rispetto al passato.

La corsa di Spalletti al fischio finale, con qualche frase sussurrata al suo possibile centravanti del futuro, il macchinoso Scamacca di lunedì sera che è andato peggio dell'itinerante Raspadori (davanti servirebbe qualcosa di più...), è stata quasi una liberazione: la voglia matta di prendersi quel pass era grande, come grande era la paura (che da anni accompagna l'Italia nelle gare topiche) di fallire ancora. «Non era scontato niente, quando poi crei occasioni per mettere al sicuro il risultato e non ci riesci, le partite diventano sporche e fisiche - ha sottolineato Spalletti subito dopo la sfida con l'Ucraina -. Mettendo in campo giocatori con queste caratteristiche non si gioca più a calcio». E si soffre, aggiungiamo noi, altro che stile. Ora che si alza l'asticella, il cammino ripartirà dalle indicazioni date dal ct: amichevoli più difficili possibili già a marzo «sennò i giocatori quando lo provano il morso del lupo vero?»; incremento e implementazione della tecnologia, dalla app con la quale i calciatori faranno i compiti a casa per studiare meglio movimenti e organizzazione al drone che spierà dall'alto le sedute di Coverciano per fornire altri dati e immagini oltre a quelli delle telecamere già presenti.

E poi visite negli allenamenti dei club, ai quali verrà richiesta maggiore collaborazione, cene con i ragazzi «perchè bisogna continuare a coltivare questo sentirsi un gruppo». Lunedì sera davanti alla tv erano quasi 9 milioni, l'entusiasmo dei tifosi resta vivo.

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