
Un altro compagno di viaggio scende dal treno dei ricordi. Bruno Pizzul si porta via una fetta grande del giornalismo televisivo, lo sport narrato senza l’enfasi che ormai lo ha trasformato in un teatro delle parole. Bruno era un friulano di come sanno essere i veri furlans di un tempo, silenzioso nel suo fogolar privato e, insieme, sodale di mille serate allegre, una buona bottiglia, sigarette un Tir prima che la bronchite cancellasse il vizio, memorie di vita di un uomo che si era laureato e poi aveva fatto pure l’insegnante di italiano, lingua che ha saputo frequentare e divulgare nelle sue telecronache di football e non soltanto di calcio.
Strano davvero che per uno di razza forte e puntigliosa la sua carriera ebbe inizio in ritardo di quindi minuti, andò a Como per raccontare Juventus Bologna di coppa Italia, il responsabile e complice del “posticipo” fu Beppe Viola che invitò Bruno a un veloce boccone e a un brindisi prima del debutto, bei tempi, in pochi si accorsero dell’equivoco quando prese a parlare dal microfono della Rai. Era stato assunto un anno prima, era il 1969 quando nell’emittente si entrava per concorso e merito non per giochi di partito. Aveva giocato a football sul serio, mica roba da bar, centromediano, half back si usava dire dopo la guerra, alto, robusto, fresco di brillantina con la maglia del Catania, anni belli, palloni di cuoio scuro, olio canforato e segatura sui campi gelati.
Bruno era nato a Cormons, la Slovenia all’angolo, suo padre macellaio sognava di averlo a bottega, Bruno nutriva altri desideri, quando prese 5 in aritmetica si ritrovò una bicicletta come regalo, palla lunga e pedalare, questo significava. E la bicicletta è stato il suo veicolo di sempre, lo vedevi in giro per Milano, mai la patente, il cappello di alpino conservato con cura, Maria la “Tigre”, moglie energica e di generosi affetti.
Storia lunga e bella, partite, vittorie, trionfi, gol, sconfitte, drammi, tragedie, l’Heysel, Italia ‘90, la fine del contratto con la Rai, nessuna riconoscenza, parole di repertorio, quasi il fastidio di avere a che fare con un monumento, così cera accaduto con Ciotti e Ameri, Martellini e Provenzali, De Zan e Oddo, figure di riferimento stracciate dagli ignoranti al potere.
Bruno è stato grandissimo per la sua assoluta normalità, di classe, di stile, di parole piene ma rare, giusto il necessario come
didascalia di quello che il telespettatore già vedeva. Resta la memoria della sua voce che mutava di tono, resta la smorfia del suo sorriso, restano notti magiche. Oggi un bicchiere di bianco friulano per lui. Mandi, Bruno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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