Nord di Londra, 1990. Un giorno come tanti, per il Tottenham Hotspur Football Club. Al centro d'allenamento la palla scorre in mezzo al campo, contesa da frotte di calciatori intenti a disputare la partitelle di metà settimana. Alcuni indossano casacche fosforescenti, mentre quegli altri sono i maggiori indiziati per un posto da titolare nel prossimo match. C'è Gary Lineker, che vuole rifilarne almeno un paio alle spalle del portiere di riserva e resta sempre competitivo allo spasmo. Ci sono gli esperti centrali Terry Fenwick e Gary Mabbutt. E poi una distesa di giovani promesse e ragazzi che hanno già svezzato il loro talento. Tra questi ciondola, la maglietta stazzonata infilata soltanto per metà dentro ai pantaloncini, Paul Gascoigne.
Gioca negli Spurs da un paio d'anni, dopo il triennio aureo disputato a Newcastle. Terry Venables, il mister, stravede per lui. Del resto, "Gazza" è il tipo di giocatore che chiunque vorrebbe in squadra per quella sua fisiologica capacità di frangere le partite: mezzi tecnici ben oltre la media, l'incoscienza calcistica al potere, Paul è in grado di progettare numeri che divelgono le friabili certezze delle difese altrui. Però il prezzo per tutta quella abbondante innaffiata di genialità - per gli assist, i gol, le aperture di gioco visionarie - è monumentale. Venables lo sa bene e si stringe nelle spalle ad ogni nuova smattata del suo gioiello. Dentro e fuori dal campo. Ma certo fatica a immaginare che quell'irresistibile attitudine alla boutade spinta sgorghi anche in casa, durante un allenamento.
Succede tutto in una manciata di istanti. Palla rinviata che si alza a campanile. Traiettoria alla viva il parroco. Una parabola che, dopo essersi imbizzarrita, si deposita direttamente nel folto boschetto che cinge il training ground della squadra. Poco male, uno dirà. Chissà quanti palloni deve avere a disposizione il Tottenham. Eppoi ci andrà qualche inserviente, a recuperarla. Venables, di fatto, non si scompone. Dispone che si continui a giocare. Gazza però la pensa diversamente. "No ragazzi, vado io a recuperarla". Perché quella dinamica lo ingolosisce troppo. Perché il genio è notoriamente tempismo.
Corricchia dunque, Paul, verso la rete di recinzione. La scavalca e si inoltra tra le fronde, per andare a riprendere il pallone. Allenamento che si ferma appositamente. Venables perplesso, ma comunque si tratterà di un paio di minuti, pensa. Invece nemmeno per idea. Ne passano cinque e Gascoigne non ritorna. "Ma non la trova"? Mugugnano i compagni. Dieci minuti dall'inizio della missione di recupero. Nessun segno di Gazza. La squadra inizia a preoccuparsi. Scavalcano a turno per andare a vedere cosa stia facendo, ma di lui - come del pallone - non c'è traccia. Evaporato.
Passano i minuti. La seduta si ferma definitivamente. Le lancette che scorrono diventano presto ore. Mobilitazione generale. Apprensione alle stelle. Parte un fiume di telefonate a parenti e amici. "Ma avete visto Paul Gascoigne?". Nada. Nessuno sa dove sia. Il Tottenham cerca di non far trapelare la notizia. La tensione diventa quasi esasperante. Viene avvertita anche la polizia, che risponde di dover attendere almeno 24 ore prima di dichiararlo persona scomparsa.
Il giorno seguente il Tottenham torna ad allenarsi con la testa pesante. Devono farlo, ma pensano tutti a Gazza. I più pessimisti ipotizzano che possa essere stato rapito. Altri abbozzano un possibile omicidio su commissione. La squadra è distrutta. Dopo i carichi atletici torna il momento della consueta partitella. Palla che si muove mesta da una parte all'altra del campo. Poi però qualcosa si muove anche tra le frasche a bordo campo. E dopo un istante Gascoigne emerge, scavalca la recinzione e, con il pallone sotto braccio, corre da mister Venables esclamando: "L'ho trovata".
Compagni con le lacrime agli occhi, mister e società furenti. Ma il genio, è ben noto, non accetta le briglie della banalità. Gazza se la ride compiaciuto: un numero fuori dal campo come un gol sotto l'incrocio.
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