Faustino Asprilla li ha appena castigati una giornata fa. Un due a zero di quelli contundenti e il pullman biancoceleste che sfila via mestamente, il Tardini che si dissolve in lontananza, come i sogni di gloria calcistica che parrebbero sul punto di sgretolarsi.
Perché la Lazio modello 1994/95 sa asfaltare il Milan (4-0), ma poi si smarrisce con il Torino. Seppellisce con sette reti il Foggia, quindi si incarta contro il Bari. Non sembrano esserci regole scolpite, con questa squadra qua. In panchina c'è un signore boemo dall'aria perennemente perplessa. Fuma come un turco e si gratta sovente la nuca. Sergio Cragnotti, il patron, l'ha ingaggiato dopo aver contemplato lo scintillio del suo Foggia, spostando Dino Zoff nel ruolo di presidente.
E quando prendi Zdenek Zeman lo sai, anche se lui in quella faglia temporale lì è sempre calcisticamente giovane: 4-3-3 dogmatico, spregiudicatezza come filosofia che riempie di senso le giornate, prodotto da consumarsi preferibilmente a stomaco vuoto e in carenza di paturnie cardiovascolari. Perché lo strapazzo emotivo è assicurato. Perché una cosa su questa Lazio comunque si sa: segna tanto, imbarca molto.
Davanti il trio fatidico è composto da Beppe Signori (sarà capocannoniere del club a fine stagione, con 17 centri), Pierluigi Casiraghi e Roberto Rambaudi, appena giunto dall'Atalanta retrocessa. Il primo e il terzo sono pupilli del boemo. Poi c'è Paul Gascoigne, all'ultima stagione romana. Dietro è arrivato il ruvido argentino Chamot e i pali li copre Marchegiani. Svolazzano dietro le punte Fuser e Venturin, Di Matteo e l'olandese Aron Winter. Nelle aree avversarie si può contare anche sul croato bionico Alen Boksic. Si affacciano inoltre in prima squadra terribili virgulti come Nesta e Di Vaio.
La stagione, si diceva, è un groviglio di saliscendi. Quella squadra alla fine arriverà seconda, sintomo che il vecchio adagio da circolino "se la palla ce l'hai te è già difendersi" funziona. Ma darà per tutto il tempo compresso del campionato l'impressione di essere un ordigno sul punto di esplodere, deflagrando i contendenti, ma innescando a volte anche il fuoco amico.
Nel suo senso più sfolgorante, il manifesto zemaniano appare forse il 5 di marzo. I biancocelesti aspettano all'Olimpico la Fiorentina, dopo avere appunto patito una sconfitta contro il Parma. Quasi 45mila persone appollaiate sugli spalti non sanno esattamente cosa aspettarsi. Ma se l'imprevidibilità è la cifra connaturata a questa ineffabile creatura pallonara, allora oggi deve per forza succedere qualcosa. E infatti succede, con modalità esagerate.
Premessa doverosa. Di fronte ci sono Gabriel Batistuta (finirà con 29 centri in stagione), Manuel Rui Costa, Ciccio Baiano, Toldo. Non esattamente una combriccola parrocchiale. Alla lunatica Lazio del condottiero boemo però frega niente. Quattro giri di lancette. Boksic scappa a sinistra e mette in mezzo: 1 a 0 obliterato da Casiraghi. Mezz'ora equilibrata, poi raddoppia Negro. Ancora ci sta. Altri cinque minuti e Cravero infila il tris su rigore.
Lazio luccicante, ma il meglio deve ancora venire. Casiraghi la spinge dentro a inizio ripresa, poi serve Boksic per la cinquina. Zeman gongola internamente in panchina, ma non muove un muscolo. Impassibile. I suoi stanno soltanto eseguendo il solito copione da utopia materializzata.
Ora accorcia la Viola, animata da un rigurgito d'orgoglio: Rui Costa e Bati. Quella parvenza di rientro in gara viene tuttavia sbriciolata da altri due gol di Casiraghi (fanno quattro, oggi) e dalla rete del ragazzino della primavera Marco Di Vaio. Ecco: 8-2.
E se sembra abbastanza singolare già così, diventa ancora più surreale se pensi che alla giornata successiva questi qua perderanno a Napoli, poi asfalteranno il Genoa, quindi pareggeranno contro la Cremonese.Un indecifrabile roller coaster emozionale. Può affossarti, certo. Ma che botta di vita quando funziona.
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