Chissà cosa deve averne pensato il famelico cacciatore di talenti Nick Bollettieri. Eppure era un germoglio della sua Academy, ergo un vincente assicurato. E invece Robert Dee, tennista britannico, ha ribaltato per un lunghissimo pezzo i pronostici. Anzi, ha proprio divelto le statistiche. In peggio.
Il fatto è che il ragazzo di Bexley, classe 1987, si affaccia al circuito dei professionisti nell'aprile del 2005 nutrendo discrete aspettative. Sì, d'accordo: non eccelle praticamente in niente in particolare, ma è giovane e può ancora affinare la tecnica. Diventare mentalmente più solido. La stoffa, invece, è questione quasi esclusivamente genetica. Ma se scegli la via della dedizione, forse qualcosa combini. Dee perde i primi incontri, sempre piuttosto nettamente - due set a zero e tanti saluti - ma non si scoraggia. In fondo è appena maggiorenne e qualche ceffone sportivo è da mettersi nel conto. Qualche, appunto, Invece il tenero Dee incassa dieci sconfitte di fila. Gli allenatori iniziano a mugugnare. La gente che lo segue mormora. Lui scrolla le spalle e continua a macinare il suo tennis.
I risultati però sono ancora sbilenchi. I passanti discutibili. Il serve and volley da rivedere. Venti sconfitte di fila. Tantine, anche se sei sempre un giovinastro. Ora spunta più di un dubbio sulle sue qualità. Avvalorato dalla terribile circostanza che Dee ne perde altre dieci. E dieci ancora. Andando avanti così, arriva alla fatidica e atterrente soglia dei 54 incontri di fila persi - peraltro tutti malamente - da professionista Itf.
Così, quando finalmente riesce a rompere il sortilegio che lo avviluppa, trasmette a tutti - specialmente ai media - una irrefrenabile voglia di gioire e sfottere. Nell'alveo della deontologia, si intende. Perché quando Dee regola finalmente un suo acerbo avversario - il diciassettenne Arzhang Derakhshani - in un torneo spagnolo, nel 2008, insorge indebitamente dopo aver letto alcuni titoli.
Il Telegraph, in particolare, scrive: "La leggenda britannica, il peggior del mondo". Ma non è il solo a sguazzarci. Anche molte altre voci autorevoli del giornalismo british si allineano, dalla BBC al Guardian, dal Times all'Indipendent, solo per citarne alcuni. E quando l'ira di Robert deborda e il suo avvocato minaccia pesanti azioni legali per i danni causati al suo assistito da quell'infausto appellativo, sganciano tutti per non finire a processo.
Tranne il Telegraph, convinto di avere scritto soltanto la verità.
Il giornale affronta la causa e, all'esito, il giudice Justice Sharp gli dà ragione: "Quel titolo è legittimo, deriva dai risultati del ragazzo". Un'altra sconfitta, anche se stavolta fuori dal campo. Robert Dee deve avere scrollato le spalle di nuovo. In fondo ci aveva fatto l'abitudine.
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