Cambiano tutto ma l'articolo 18 rimane un tabù

Le riforme del governo ancora non sfiorano il settore più cruciale: il mercato del lavoro

Cambiano tutto ma l'articolo 18 rimane un tabù
Monti spiana tutto, tranne il grande tabù. Il governo ha presen­tato la bozza sulle liberalizzazioni e lo fa mostrando muscoli e dentie­re. In questo mega decreto con 44 articoli i tecnici toccano taxi e gas, assicurazioni e tariffe degli ordini professionali, conti correnti e ban­comat, benzina e self service, nuo­ve authority e vecchi privilegi, c’è solo una cosa che sulla strada del­le buone intenzioni viene messa da parte, intoccabile, come un to­tem o una maledizione: l’articolo 18. Questa è la parola che Monti e i suoi amici professori

non hanno il coraggio di pro­nunciare ad alta voce. Ne hanno parlato in modo carbonaro nelle riunioni ristrette. Qualcuno pri­ma di diventare ministro la butta­va lì come se fosse il suo cavallo di battaglia, poi appena si è ritro­vato nei palazzi del potere ha ca­pito che era molto più saggio rin­negare il passato. I più furbi han­no lasciato che fosse la Fornero a illudersi: brava, butta giù un pia­no che poi ne parliamo. Peccato che ogni volta che la poveretta nominava il numero della discor­dia tutti gli altri la zittivano con l’indice perentorio davanti alla bocca: muta che il sindacato ci sente. È così che nel vasto pro­gramma di liberalizzazioni il go­verno ha lasciato fuori il lavoro. Lì restano in piedi tutti i muri, da una parte i garantiti e dall’altra i precari.

Questo è il senso politico del primo pezzo di fase due. Il gover­no scardina una parte di quei luc­chetti che non permettevano una vera concorrenza e questo in qualche modo può anche essere considerato positivo. Ma più di quello che fa, è importante quel­lo che non fa. Ed è un chiaro se­gnale. Monti non ha il coraggio di affrontare i pesi massimi, i po­teri forti. Mette all’angolo picco­le e medie consorterie, ma scap­pa davanti ai sindacati. Accon­tenta Bersani e prova a tenere a bada il Pdl. Per la prima volta la doppia maggioranza pende più da una parte che dall’altra. Que­sto è un fatto politico rilevante.

Non è un caso che il Pd faccia arrivare subito una nota che, con cautela, sottolinea la vittoria. «La modifica dell’articolo 18 stralciata dalla bozza sulle libera­lizzazioni?

Se la notizia verrà con­fermata allora è un fatto davvero positivo». Bersani in questo mo­do risolve un doppio problema. Cancella un costo elettorale e non va allo scontro con la Cgil, che continua a conservare un’opa determinante sul parti­to.

Il paradosso, per il governo, è che si accontenta di liberalizza­zioni monche. Nel pacchetto manca quella più importante, che davvero porterebbe il Paese in un’altra dimensione. Divide­re Snam Rete Gas dall’Eni è sen­za dubbio un successo. Ma non è fondamentale. Il risparmio sulla benzina di pochi centesimi non compensa gli aumenti di questa ultima stagione. L’idea che la questione taxi si possa risolvere con una nuova authority, quella delle reti, è affidarsi ancora una volta alla burocrazia. E tutto que­sto non compensa la rinuncia al­la riforma del mercato del lavo­ro. Riforma fondamentale, che aprirebbe anche il dibattito sul welfare. Monti lo sa che il nostro stato sociale protegge tutti tran­ne chi sta davvero male? Monti lo sa che il welfare è registrato per l’Italia del posto fisso e consi­dera i precari un’anomalia senza tutele? Lo sa, naturalmente.

E lo ha anche scritto nei suoi com­menti sul Corsera, ma da pre­mier preferisce dimenticarlo. Il fatto politico allora è tutto qui. L’editorialista non aveva paura del sindacato, il politico sì. E al tecnico non resta che gettare la maschera.

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