Come nel gioco della battaglia navale, in questa battaglia stradale bisogna sparare i colpi giusti. Tra questi, ce n’è uno efficacissimo, che va dritto sul bersaglio grosso: A4, colpito e affondato.
Tratto Seriate-Capriate, provincia di Bergamo. La protesta parte alla mezzanotte, ma è alle sei e mezza del mattino che l’effetto diventa fatale: a quest’ora, e siamo pure di lunedì, si ripresentano da tutti i punti dell’universo le migliaia di pendolari che puntano su Milano. I furgonati dei leggendari muratori di valle, le station wagon dei rappresentanti, le berline del ceto impiegatizio, le smart delle segretarie: tutti in fila ai caselli d’entrata per cominciare un’altra settimana di parossismo autostradale.
È ancora buio, fa decisamente freddo, quando la protesta di «Trasporto Unito» centra il bersaglio e lo cola a picco. Non sono nemmeno tanti, i Tir messi in mezzo ad intralciare la dolente marcia d’entrata alla A4: ma qui siamo in zone dove basta che cada un mozzicone per creare code e blocchi, figuriamoci decine di Tir grandi come traghetti.
Seriate, Bergamo, Dalmine, Capriate: quattro tappe di un unico calvario. Sono due ore, fino alle otto e mezza, di vera paralisi. Fino a quando l’arrivo della polizia non sgorga un po’ gli intasamenti, trasformando la protesta in una civilissima e abbastanza innocua manovra di puro rallentamento, scopo sensibilizzazione dell’utenza.
In questo pezzo d’autostrada i Tir sono come una fauna stanziale: ci sono sempre, con densità spaventosa, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Stavolta, i loro conducenti hanno qualcosa da raccontare agli storici rivali delle auto. Con amarezza, bussando al finestrino.
Fermata di Bergamo, mi spiega un autista dai toni molto signorili: «Perché protesto? Nemmeno tanto tempo fa il pieno mi costava 550 euro. Ieri ne ho spesi 880. Faccia un po’ lei». Alle sue spalle, il collega dall’accento orobico: «Pota, fra un po’ bisognerà fare il lising per il pieno di gasolio...».
Il sonoro di questo film surreale, nell’oscurità dello svincolo, è segnata da clacson, urla, inviti alla calma. I pendolari di auto e furgoni, generalmente, esprimono rabbia, però pacata, come piace a Veltroni. Dice un promotore finanziario atteso a Milano, abbassando il vetro della sua Opel Insigna: «Loro hanno ragione. Dovremmo fare lo sciopero della benzina anche noi automobilisti, una volta. Però danneggiare noialtri, che siamo comunque vittime, mi sembra un po’ un autogol...». Dietro, una signora un po’ su con l’età che viaggia al fianco del marito, destinazione Riviera Ligure: «Dovrebbero parcheggiare i Tir davanti agli aerei privati dei politici e dei petrolieri, non qui: che senso ha rovinare le giornate alla gente normale?».
Vengono distribuiti volantini, la polizia comincia a schierarsi in modo discreto, ma efficace: il blocco è vietato, la protesta deve fare largo. Si opta per lasciare libero il passaggio, però costringendolo nella strettoria dei Tir fermi a bordo strada, così da creare comunque un evento di divulgazione sindacale. Qualche chilometro più in là, a Dalmine, stesso spettacolo. Siamo nel cuore dell’industrializzazione più accanita e più invasiva, più sfacciata e più tossica. Qui il tessuto urbano è una smodata e indistinta catasta di capannoni e villette in serie, interrotta saltuariamente da centri commerciali. E anche qui gli autisti in rivolta sembrano usciti da un film promozionale della categoria: berretta di lana messa per traverso, calzoni con i tasconi laterali, scarponi da lavoro, giubbotti con sigle pubblicitarie, tra le mani enormi panozzi imbottiti di qualunque cosa. «Sapevo poco della protesta - racconta uno di loro, arrivato nella notte dal Sud per scaricare frutta e verdura deperibile - ma mi sono subito fermato. Lo faccio per solidarietà. Questi delle autostrade mi hanno davvero stufato: loro aumentano le tariffe, noi non possiamo. Proprio uno sporco gioco».
Proseguendo oltre, arrivo a Capriate, ultimo casello in territorio bergamasco, ultimo snodo selvaggio della selvaggia A4. Qui pochi camion, un’auto dei carabinieri, ma molta lentezza comunque in entrata: gli autisti stanno in piedi allo svincolo della grande rotonda, obbligando di fatto a rallentare chi si avvia verso il casello. Trovo pure un autista francese, magro come un siluro, pallido ed emaciato come Carlà, piuttosto assonnato e piuttosto confuso: «Mi hanno fermato i colleghi italiani, mi stanno spiegando la situazione». Lì vicino, uno del picchetto è molto sbrigativo: «Fermati qui con noi, dove vuoi andare. Tanto, che tu viaggi o che tu stia fermo, guadagni la stessa cifra». Quello ride, «bien sûr bien sûr, anche in Francia, anche in Francia».
Si è fatto chiaro, ormai sono le nove. I grandi tappi sono lentamente saltati, la situazione in A4 torna gradualmente alla normalità. Restano fermi ai caselli gli ultimi Tir di rappresentanza. Quando torno sui miei passi, noto che all’uscita di Bergamo i rallentamenti comunque continuano, ma in questo caso la protesta c’entra poco. Nel serpentone dei pochi camion parcheggiati si sono infiltrate le camionette dei carabinieri e un pullman-regia di Sky, fuori l’inviato con il microfono in mano.
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