Camorra, sei secoli in famiglia

La malavita napoletana dalla «Guarduna» nata nel 1417 ai boss dei nostri giorni

Vita, morte e miracoli criminali della Camorra SpA. Seicento anni fra imprese «romantiche», azioni sanguinarie e compromessi col potere politico, religioso, militare. Una panoramica sulle figure di maggior spicco dell’organizzazione delinquenziale che nel suo albero genealogico fa germogliare i frutti del malaffare impersonati da Cicco Cappuccio o dal poeta Raffaele Cutolo, dal potente dei potenti, Enrico Alfano all’ultimo ras nella terra di nessuno, quella insanguinata di Scampia, Paolo Di Lauro. Uno sguardo sugli scontri tra prefetti e carabinieri da una parte e i più potenti capiclan dall’altra. Una rassegna puntuale della guerra fra cosche nei «quartieri-Stato» nell’epoca del tanto agognato «miracolo bassoliniano». Questo e tanto altro è il bel libro scritto da un addetto ai lavori, l’inviato del Mattino di Napoli, Gigi Di Fiore: La camorra e le sue storie (Utet, pagg. 487, euro 24,50) serve a ripercorrere l’intera storia di questo fenomeno criminale.
Il primo nucleo della camorra, scrive Di Fiore, risale al 1417. Era la cosiddetta «Guarduna». A metà ’500, in piena dominazione spagnola, nascono i «compagnoni», definiti i veri antesignani dei camorristi. Protagonisti di fine ’700 sono, invece, i «Lazzaroni», la plebe in cerca di pane che per impedire l’arrivo dei soldati di Napoleone si associa ai malavitosi. Dal 1820, sottolinea Di Fiore, la camorra prospera soprattutto nelle carceri. In questi anni Pasquale Capuozzo, primo capo clan, dà vita alla «Bella società riformata». Agli inizi del 1860 il potere legale scende a patti con la camorra, a cui si chiede di mantenere l’ordine pubblico. Ma l’anno successivo il nuovo ministro degli Interni, Silvio Spaventa, pone fine al clima di collaborazione e scoppia il finimondo.
Nel 1863 viene varata la prima legge ad hoc contro la camorra: la legge Pica, che permetteva di agire sulla base del solo sospetto, mentre l’8 novembre 1901 nasce la prima Commissione d’Inchiesta sul fenomeno. Il principe Emanuele Filiberto chiede la mano dura contro i camorristi. Si attende l’occasione buona per agire, che si presenta con l’omicidio di Gennaro Cuocolo e della moglie. Un assassinio maturato fuori dagli ambienti camorristici ma che verrà utilizzato da Carlo Fabbroni, capo dei carabinieri, per condurre una dura battaglia contro la camorra attraverso abusi, testimonianze estorte e bugie. Comincia il primo maxiprocesso-spettacolo che comminerà decine di condanne. La verità si saprà vent’anni dopo.
Di Fiore ci racconta la camorra sotto il fascismo, descrive il dopoguerra, ossia «’a nuttata» napoletana, anni di povertà dove dettava legge don Carmine Spavone. Un mito infranto dalle nuove esigenze della criminalità organizzata, vale a dire dal traffico di droga importato dall’America da Lucky Luciano. La mafia siciliana prende il sopravvento e la camorra, negli anni ’60, sembra una dépendance di Cosa Nostra. I rapporti tra mafiosi e camorristi si intensificano ma l’equilibrio regge fino all’arrivo dei «Marsigliesi». Gli «indipendenti» napoletani vengono spazzati via. Ma all’inizio degli anni ’70 anche i Marsigliesi scompaiono grazie agli arresti e alle soffiate alla polizia.
Stava per aprirsi il dominio di Raffaele Cutolo e della sua «Nuova camorra organizzata» che si ispirava all’antica «Bella società riformata». Cutolo tenta di verticalizzare la camorra, il cui fulcro è il carcere di Poggioreale. Il 1980 segna il conflitto tra Nco e le «Nuove Famiglie». In quell’anno i morti ammazzati sono 148. Ma le Nf intanto si organizzano intorno alle figure di Pasquale Galasso, poi soprannominato «il Buscetta campano», e Carmine Alfieri, entrambi collegati alla mafia siciliana. Ben presto Cutolo verrà sconfitto dai suoi nemici, dai magistrati ma anche, scrive Di Fiore, dal suo delirio di onnipotenza. Il 1983 segna la controffensiva dello Stato anche grazie al ruolo dei primi dissociati. Ma nella loro macchina schiacciasassi finirà il povero Enzo Tortora, così come il democristiano Antonio Gava. Assolti entrambi.
Nel libro di Di Fiore c’è molto altro: l’assassinio del giornalista Giancarlo Siani; il potere nei «quartieri-Stato» di Napoli, e cioè Forcella, il quartiere Sanità, i Quartieri spagnoli e Secondigliano, il «Bronx napoletano».

E come non terminare la parabola camorristica senza addentrarsi nelle più recenti guerre fra il clan di Paolo Di Lauro, descritto come cinico e intelligente, e gli «scissionisti». Un libro avvincente che spiega cause ed effetti del fenomeno, dal sentimento di rassegnazione al fatalismo, fino all’assuefazione. Vedi Napoli, e poi muori.

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