LA CAMPAGNA POSTELETTORALE

In campagna elettorale si dice verso dove si vuole andare. Quando, poi, si è al governo si deve dire come ci si vuole andare e soprattutto farlo. Autorevoli membri del governo Prodi sembrano ancora in campagna elettorale. Vediamo con ordine.
Il vice ministro Vincenzo Visco ha detto che le tasse non si toccano e che anche le rendite, nel primo anno di governo, non saranno tassate. I soldi si prenderanno dal recupero dell’evasione, ma soprattutto dall’aumento del Pil. Il professor Visco quando dice che non aumenterà le tasse ha la stessa credibilità che ha un obeso che dichiara di essere disappetente. Comunque vedremo.
Intanto hanno ribadito che faranno il taglio del cuneo fiscale. Dieci miliardi di euro, 20mila miliardi delle vecchie lire. In un anno: tutto col recupero dell’evasione e con l’aumento del Pil? L’altro possibile strumento è quello del contenimento della spesa e anche da questo punto di vista le dichiarazioni degli innumerevoli ministri, vice ministri e sottosegretari lasciano intendere che, per ora, hanno tutti pensato a spendere non a risparmiare. Non ce n’è uno che quando apre bocca non auspichi provvedimenti che costano. L’unico che sta zitto, salvo annunciare l’incontro settimanale col governatore della Banca d’Italia è il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, che prende nota e ogni giorno, immaginiamo, tiri la riga in fondo alle richieste e cerchi di capire come farà a trovare quella massa di quattrini che tutti gli chiedono.
Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano (trent’anni di sindacato nella Fiom dei metalmeccanici) in un’intervista ha detto che bisogna coprire i buchi di bilancio che avrebbe lasciato l’altro governo, quello di Berlusconi, ma nello stesso tempo ha detto che bisogna cambiare la riforma delle pensioni perché non è giusto che nel 2008 chi abbia 57 anni non possa più andare in pensione e debba aspettare altri tre anni, fino ai 60.
Ora bisogna ricordare che la riforma delle pensioni fu fatta dal ministro Maroni perché tutti gli istituti di ricerca italiani ed esteri sostenevano che, così come era stata fatta da Dini nel ’95, avrebbe portato i conti allo sfascio. Quindi non era una questione politica, era una questione contabile. E non sarà un caso che la Commissione europea, ma anche l’Ocse, ma anche il Fondo monetario internazionale, avessero ritenuto di promuovere a pieni voti questa riforma come un intervento strutturale doloroso ma indispensabile. Non necessario, indispensabile. Ora l’ex sindacalista, una volta divenuto ministro del Lavoro ci dice che così non va bene. Ci dirà anche come la vuole cambiare ma, quello che più importa, è che lui o qualcun altro vada poi a spiegare alla Commissione europea, e riesca a farsi credere, dove e come troverà i soldi per coprire quel bel po’ di spesa in più che anche l’anticipo di qualche anno dell’età pensionabile porterà con sé.
Sempre lo stesso ministro ha anche annunciato una riforma degli ammortizzatori sociali, e anche qui in senso estensivo rimproverando il governo precedente di non averla fatta. È vero: difficile farla quando l’economia internazionale è stata quella che è stata.
Comunque staremo a vedere.

Finché si tratta di parlare del Paese da riunire, delle scissioni da recuperare, dell’unità di intenti del popolo italiano che troverebbe in questo governo la sua più fervida espressione, fino a qui la retorica del centrosinistra supera la prova brillantemente. Purtroppo la retorica e l’aritmetica vanno male insieme perché coi conti non c’è retorica che tenga. E a Bruxelles conoscono solo l’aritmetica.

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