Fra le tante vicende del razzismo antibianco, quella più sorprendente riguarda gli aztechi. Non è una vicenda marginale: possiamo benissimo immaginarla in qualsiasi parte del mondo, in Israele con i caananiti o i samaritani, in Italia con gli Aquitani o i Reti. Succederà: «La bianchezza - traduco così il concetto di whiteness - inquina l'aria, devasta le foreste, scioglie i ghiacci, diffonde e finanzia le guerre, appiattisce i dialetti, infesta la coscienza, uccide la gente». Lo ha scritto Damon Young, collaboratore del New York Times, e lo cita Victor Davis Hanson, lo storico conservatore, in una bellissimo saggio sul razzismo antibianco.
Torniamo agli aztechi: una nuova proposta di curriculum scolastico per 10 mila scuole californiane, e che riguarda sei milioni di studenti, in nome della decolonizzazione reintroduce il simbolismo religioso azteco nel nuovo programma (messo al voto proprio in questi giorni) chiamato Ethnic Studies Model Curriculum e lo allarga dai campus americani alla scuola primaria e secondaria. Il curriculum si basa sulla «pedagogia degli oppressi» sviluppato dal teorico marxista Paolo Freire. In primis gli studenti devono sviluppare una «comprensione critica», e di conseguenza essere in grado di rovesciare la cultura degli oppressori, cioè i bianchi.
Christopher Rufo scrive sul City Journal che, secondo il programma californiano, gli insegnanti devono, come compito primario, aiutare gli studenti a «sfidare credenze razziste, bigotte, discriminatorie, imperialiste, coloniali». E chi le manifesterebbe? I bianchi, tutti quanti.
La società americana è accusata in blocco di essere razzista, partecipe di ogni forma di oppressione, consapevole e inconsapevole, oggi, ieri o in qualsiasi altro tempo: essa dunque richiede, subito, una revisione della storia. I monumenti a George Washington e ad altri padri della patria devono essere rovesciati; si deve cancellare il linguaggio, e con esso il pensiero, dei maggiori scrittori bianchi, compreso Shakespeare, Dante Alighieri ed Hemingway. Questo vale naturalmente anche per gli artisti: Michelangelo (come si permette di rappresentare David come un giovane atleta bianco?) o Edward Hopper. Secondo Tolteka Cuahtin, il co-chair dell'Ethnic Studies Model Curriculum californiano, ma anche secondo molti altri autori, queste opere sono basati su «paradigmi europei etnocentrici, suprematisti bianchi(razzisti, anti-neri, anti-indigeni), capitalisti (classisti), patriarcali (sessisti o misogini), omofobici e antropocentrici». Il testo di Cuahtin parla di «furto della terra, istituzione di gerarchie bianche ed europee che hanno creato ricchezza eccessiva divenuta la base dell'economia capitalista». Da qui nasce una «egemonia», che non si è mai interrotta, in cui le minoranze vengono assoggettate con «la socializzazione, l'addomesticamento» e addirittura la «zombificazione».
È un disegno malefico e aggressivo: la cultura monoteista giudaico cristiana (anche con la sua ramificazione «pacifica» musulmana), la democrazia e il liberalismo sono i suoi rami spinosi e carichi di frutti velenosi.
L'idea totalmente priva di fondamento logico è che i contemporanei oggi avrebbero agito infinitamente meglio, e che comunque la nostra cultura è peggiore delle altre, anche quelle, come la cinese o la islamica, che palesemente non consentirebbero di governare a una persona di etnia e religione diversa. Sulla questione non minore della schiavitù, che è una delle principali rivendicazioni del movimento Woke si seguita a ignorare il fatto che non c'è cultura, inclusa quella nera e quella islamica, che non abbia avuto, o addirittura tuttora abbia, un retaggio schiavista. Tutti hanno avuto schiavi e, in realtà, i primi a liberarsene sono stati i bianchi.
Cuahtin spiega dunque, riguardo agli Aztechi, che i cristiani hanno compiuto un teocidio, rimpiazzando gli dei indigeni col loro credo. La conseguenza, per lui, è che occorre oggi una «controegemonia» che spazzi via il cristianesimo (e immagino anche l'ebraismo) e rimetta in sella qualche dio spaventoso che appare con fauci aperte e denti acuminati sulle piramide di Teotihuacan. Il nuovo curriculum suggerisce che non si recuperi solo la memoria storica di questa divinità, ma che sia lodata e pregata dai bambini. Un programma di canzoni indigene include In Lak Ech in cui si chiede al dio Tetzkatlipoka, che veniva onorato con sacrifici umani, di trasformare il fedele in un coraggioso guerriero. Agli altri dei si chiede uno spirito rivoluzionario e alla fine si impetra «liberazione, trasformazione, decolonizzazione».
A New York una scuola privata di Manhattan, la Grace Church School, dà agli studenti 12 pagine di guida sul linguaggio: vi si sostituiscono le parole madre, padre, genitori con «i grandi», «i compagni», «la famiglia», «i guardiani». Anche i riferimenti a una residenza fissa sono cancellati. Invece di chiedere a una persona «di dove sei» o «che cosa fai» si deve chiedere «qual è la tua origine culturale o etnica» e «di dove sono i tuoi progenitori».
La conseguenza è la paura: nei campus chi non concorda con la revisione culturale razziale è sospettato di «suprematismo bianco» solo per il colore della sua pelle, con marginalizzazione e shaming nelle scuole e nella cultura, con sospetti e espulsioni dal lavoro. Anche Netflix, come tutta Hollywood, non produce più un film in cui non si snocciolino tutti i credo anti-capitalista, anti-coloniali, pro donna. Con la conseguenza di una noia infinita. Molti scrittori e intellettuali quasi senza accorgersene percorrono la stessa strada. Un articolo di Bari Weiss (espulsa dal New York Times) racconta un dialogo segreto di un gruppo di genitori allarmati: «Se si sapesse che ci siamo riuniti a parlare - dicono dalla loro riunione clandestina a Los Angeles - potremmo subire serie ripercussioni». Si tratta di gente ricca che manda i figli in scuole milionarie. Ma qui ormai oltre alla ripetizione quotidiana di teorie anti-capitaliste, risuona il discorso incessante sull'America come Paese cattivo, da cancellare, da ricostruire da zero. I genitori alla riunione si ripetevano che la scuola ti può espellere per qualsiasi ragione e se vieni definito «razzista» sei peggio di un assassino, e non verrai mai più accettato: «Vedo cosa sta accadendo ai miei bambini» dice un genitore «sono educati nel risentimento e nella paura». La cultura del risentimento sta diventando distruttiva e dilagante.
I teorici della svolta americana, come Ibram Kendi, autore di Come essere antirazzista sostengono che il centro del razzismo è la negazione. Più sei razzista, più neghi di esserlo. Così, si forgiano nuove norme per cui nelle scuole americane se sei bianco e maschio non puoi rispondere per primo anche se sai la risposta; e il ragazzo, raccontano i genitori, torna spesso a casa facendo mea culpa per il razzismo di cui né lui né la sua famiglia si sono mai macchiate. Si formano gruppi di «solidarietà razziale» da cui vengono esclusi i bianchi, i maschi o chi non mostra «solidarietà e compassione razziale». Gente che non potrebbe capire «sconforto, confusione, difficoltà che spesso accompagnano il risveglio razziale». Il problema oscura l'uso della violenza da parte di Black lives matter o di Antifa, impedisce di giudicare le persone come individui e non come una razza o un genere. La scala di valori di una società liberale è stata rovesciata. Regna la confusione. Il giudizio contro chi viene a priori considerato parte della agenda «suprematista» è sempre più aggressivo. È interessante che questa ondata sia guidata e faccia presa su élite bianche, ricche, spesso intellettuali... è sempre stato così, anche quando ero una ragazza degli anni '70.
Si spezza qui il sogno di Martin Luther King che sperava che un giorno ogni uomo venisse giudicato per quel che vale, e non per il colore della sua pelle. Dopo tanto lavoro della società americana e del mondo democratico c'è ancora il razzismo ed è, oggi, alla rovescia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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