Carrozze vecchie e poca manutenzione Deragliamenti quintuplicati in tre anni

In linguaggio tecnico si chiamano «svii». Chi non ha una laurea in ingegneria li chiama deragliamenti, ma la sostanza è la stessa: è quando un treno in corsa esce dai binari. «Sono eventi che non devono esistere - dicono dall’Ansf, l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria - perché potenzialmente rischiosissimi». La tragedia di Viareggio sarà sempre lì a ricordarlo.
Nonostante il monito dell’agenzia gli «svii» sulle ferrovie italiane negli ultimi anni sono sempre più frequenti. Erano sei nel 2005, undici nel 2006, otto nel 2007 e nel 2008. Quest’anno poi si può anche battere il record, visto che da gennaio ne sono avvenuti sette. E l’ultimo è costato la vita, finora, a 17 persone.
Ma come può un treno uscire dal tracciato? Una volta tanto nessuno invocherà l’errore umano. I treni che saltano fuori dai binari lo fanno solitamente per cause meccaniche, che nella maggior parte dei casi riguardano il «rodiggio» (altro termine caro agli ingegneri) ovvero l’insieme di ruote e sospensioni di un vagone. La seconda causa di deragliamento, si legge nel rapporto 2007 sulla sicurezza ferroviaria dell’Ansf, è riconducibile invece all’«armamento» (ovvero le linee ferrate).
Nella strage di Viareggio è stato proprio il rodiggio a cedere; così come in uno dei deragliamenti del 2005, in tre degli incidenti del 2006 e in cinque degli otto svii del 2007 (il 63% del totale). E perché i rodiggi dei vagoni si rompono sempre più frequentemente? Semplice: perché sono sempre più vecchi; e la manutenzione è sempre più scarsa.
L’età media dei carri (vagoni per il trasporto merci) che circolano sulle ferrovie italiane è di 28 anni. Poco più giovani le carrozze (trasporto passeggeri): 26 anni di media. «Ma non sarebbero neanche troppi - sottolinea Giulio Moretti, del sindacato Orsa -. Quando tenuto in buone condizioni e revisionato periodicamente un vagone può essere efficiente fino a trent’anni». Se la stima è corretta allora c’è da mettersi le mani nei capelli, visto che 13mila dei carri in funzione oggi sulle ferrovie italiane sono stati immatricolati prima del 1979 e 5mila addirittura prima del 1970. Diciottomila carri obsoleti sfrecciano per il nostro Paese. E se guardiamo alla manutenzione, il quadro si incupisce.
Se è vero che vagoni e motrici del trasporto passeggeri (di proprietà di Trenitalia) vengono sottoposti a controlli severi e periodici, nel settore merci le cose sono diverse: «Le società che affittano carri merci - sottolinea Moretti - devono fornire ai loro clienti, al momento del noleggio, solo un’autocertificazione a garanzia dell’idoneità del veicolo. L’impostazione di base del sistema di liberalizzazione può essere corretta, non dico che il monopolio sia la via migliore. Ma senza controlli il castello crolla. E dato che la manutenzione è per le imprese una voce di spesa consistente, è normale che, di fronte alla pressoché totale certezza di rimanere impuniti, tendano a tagliare il più possibile».
Se quanto successo a Viareggio rientra nel novero degli incidenti provocati da una cultura del business che considera la sicurezza dei propri dipendenti e dei cittadini un optional, lo stabilirà l’inchiesta annunciata dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli; ma la sezione di rottura dell’asse tranciato, secondo lo stesso Matteoli «presenta un aspetto liscio con tracce di ruggine», il che farebbe pensare a una lesione preesistente.
Una lesione non riparata nella recente manutenzione che il carro avrebbe ricevuto.

Per parte loro la società americana che possiede il veicolo, la Gatx, e Giuseppe Pacchioni, amministratore della società della provincia di Mantova che ha svolto la manutenzione sul carro «imputato», assicurano che il mezzo aveva superato egregiamente i test di controllo.
(Ha collaborato Enza Cusmai)

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