Nel 1946 il poeta Umberto Saba pubblicò su Almanacco dello Specchio (Mondadori) una raccolta di testi brevi e aforismi intitolata Scorciatoie e raccontini. Le voci dalla 55 alla 58 sono dedicate ai «Libri Gialli» e alla 57 viene asserito: «sono la sola letteratura contemporanea che sia stata veramente una letteratura popolare. Pieni di cose, di fatti, di episodi, esternamente divertenti (ma non dovrebbe essere sempre così un romanzo?)». Ma quale forma va data a queste storie, quali personaggi, quali ambienti, quali psicologie? Quale lingua va usata nei gialli? Già Carlo Emilio Gadda aveva compreso, costruendo il suo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, che lo stile era fondamentale.
Quando Andrea Camilleri nel 1994 decise di dare alle stampe la prima indagine del suo Montalbano, La forma dell'acqua, aveva già maturato molte idee su come e perché si potesse scrivere un giallo italiano. Aveva letto Gadda ma anche Sciascia, Scerbanenco, De Angelis, Enna e Veraldi ed era consapevole che una via originale per scrivere storie di indagine era possibile. A mostrarci come Camilleri sia riuscito, lungo il suo percorso, a non smarrire la strada e la sua originale identità letteraria fino alla fine è il recente volume dei «Meridiani» Mondadori Altre storie di Montalbano (pagg. 1856, euro 80) che contiene tutte le indagini, in forma di racconto e romanzo, pubblicate dallo scrittore siciliano fra il 2003 e il 2019. Storie in cui reinventa il suo personale teatrino di personaggi, grazie non soltanto all'impianto teatrale quasi pirandelliano delle vicende (dove i protagonisti indossano più di una maschera), ma soprattutto a un uso preciso e oculato di una lingua inventata su misura. Stiamo parlando del vigatese che si è fatto apprezzare dai lettori e che ha reso uniche le indagini del commissario Salvo Montalbano. Perché probabilmente non sono stati i furti, le truffe, i traffici illegali, le menzogne e gli omicidi, a rendere singolari quelle storie, bensì la lingua con cui sono state raccontate e che spesso ha portato il pubblico a leggere le vicende narrate ad alta voce per renderle comprensibili, trasformando suoni in immagini che accendono l'immaginario.
Con arguzia, lo studioso Mauro Novelli che ha curato l'apparato critico di questo secondo «Meridiano» Mondadori dedicato a Montalbano (pubblicato vent'anni dopo il precedente, Storie di Montalbano, del 2002), sottolinea che «prima di trasformarsi in un potente elemento di richiamo l'impasto dialettale a lungo rappresentò un intralcio alla pubblicazione delle opere di Camilleri. Pareva un azzardo eccessivo agli editori, convinti al pari dei teorici del poliziesco che lo stile, in questo tipo di letteratura, deve essere perfettamente trasparente; la sua unica esigenza è di essere quasi inesistente, chiaro, semplice e diretto».
Eppure, infrangendo proprio quest'ultima regola fissata dal filosofo e saggista Tzvetan Todorov in Tipologia del romanzo poliziesco, Camilleri ha costruito «un mondo esotico e casereccio al tempo stesso, in cui niente
è come sembra e ogni taliata contiene un messaggio in codice. Arrivare a comprendere il vigatese, padroneggiarlo, prevederne le uscite idiomatiche, ha offerto a milioni di lettori un'impagabile sensazione di complicità».
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