Il caso è chiuso, tenente Colombo Vola via l’angelo con l’impermeabile

L'attore aveva 83 anni. Da anni era malato di Alzheimer. Si fece notare con Frank Capra ma divenne famoso, in tutto il mondo, per il telefilm "Il tenente Colombo". Negli anni '60 ottenne due nomination agli Oscar

Il caso è chiuso, tenente Colombo  
Vola via l’angelo con l’impermeabile

Aveva padre polacco di origi­ni ungheresi e madre russa. Ma per noi Peter Falk era un po’ (an­zi, più di un po’) italiano. Merito di una fra le «maschere» televisi­ve più amate al mondo: il tenen­te Colombo, che gli calzava a pennello.

Di tipicamente italiano, quel poliziotto californiano d’adozio­ne che non usa mai la pistola, che parla sempre dell’amatissi­ma ( e invisibile) moglie, che non abbandona quasi mai il proprio impermeabile stazzonato, che fuma sigari di bassa lega, non ha soltanto il cognome. Ha anche e soprattutto lo stile, la sensibilità, l’arte d’arrangiarsi e di portare a casa la pagnotta sotto forma di colpevole usando la testa e il buo­nsenso, la capacità di essere, con­temporaneamente, fuori posto e a proprio agio ovunque: nelle vil­le dei vip a Malibù o nei bassifon­di di Los Angeles, alle prese con generali o straccioni, con attori hollywoodiani e baristi, in crocie­ra e persino in trasferta a Londra, bagnando il naso ai sapientoni di Scotland Yard. Diciamola tutta: di italiano Pe­ter Falk aveva anche l’orgoglio per una popolarità divenuta dav­ve­ro globale proprio grazie a Co­lombo. Non si sentiva un «perso­naggio- ostaggio».

Sapeva di esse­re un ottimo attore, e tanto gli ba­stava. Che fosse tale, lo si era capi­to q­uattro anni prima del debut­to di Colombo, nel ’64,in Italiani brava gente (ancora l’Italia...) di Giuseppe De Santis nei panni del tenente (ancora un tenen­te...) Mario Salvioni. Poi, nel ’69, sempre diretto da un italiano, Giuliano Montaldo, ci furono Gli intoccabili , in cui Falk era un ma­­fioso di San Francisco. Se aggiun­giamo che il suo primo film di pe­so era stato la commedia di Frank Capra Angeli con la pisto­la , del ’61, in cui, ovviamente, gli tocca il ruolo di Carmelo, vice proprietario di un night club, ab­biamo ben presente il quadro in cui Falk, partendo da posizioni marginali, di «carattere», via via fece lievitare il proprio tratto, composto di una rustica bonarie­tà e di una presenza scenica non ingombrante, non da divo, e tut­tavia decisiva, che lascia il segno.

La sua tazza di tè, come dicono i raffinati, o il suo boccale di birra, è stato quel combinato disposto di gangsterismo e poliziottismo, noir e giallo, magari parodiato come in Invito a cena con delitto del ’76,con puntate in guerra ( Ar­denne ’44, un inferno , del ’69: al­tro ruolo da italiano, il sergente Rossi) e nel dramma come in Una moglie , del ’74, dove il suo operaio edile, ovviamente di ori­gine italiana, Nick Longhetti, è il marito di Mabel, una Gena Row­lands in stato di grazia e giusta­mente pluripremiata. Tre anni dopo, l’italianissimo Peter Falk riceve moralmente la cittadinanza del nostro Paese: i telefilm di Colombo che qualcu­no­aveva già assaggiato sull’allo­ra Telecapodistria, approdano su Raidue. È il 7 luglio del ’77, e dopo trentaquattro anni siamo ancora in molti, la domenica se­ra, a rimpiangere la mancata messa in onda, su Retequattro, della settecentesima replica di un episodio quale che sia. Certo, dobbiamo ricordare come meri­t­ano Una strana coppia di suoce­ri (’79), Il grande imbroglio (’86), e, da ultimo, il fanta-thriller Next (2007).

Doppiamo pure registra­re la nomination all’Oscar, per due volte, come miglior attore non protagonista. Ma ciò che ci resta negli occhi e nel cuore, adesso, insieme alle struggenti e crudeli foto mosse di qualche tempo fa che lo ri­traggono fuori di testa, vici­no casa, quando l’Alzhei­mer aveva già iniziato ad avvolgerlo nella sua te­la assassina, è so­pra­ttutto il suo sorri­so furbo che interca­lava da maestro, duellando da fine psicologo con il so­spettato di turno, con quell’aria da fin­to sprovveduto. Era italiano, in fondo, e sapeva bene che chi sottovaluta gli italia­ni, nove volte su dieci alla fine lo prende in quel posto. Però ecco, se proprio dobbiamo chiedere la gra­zia di un fuori programma celebrativo, la nostra scel­ta cade su quella volta in cui il grande Peter dovet­te vedersela con... se stes­so. Fu in Donne pericolo­se per il tenente Colombo (’93):madre e figlia fan­no fuori il comune amante che le tradisce in parallelo.

E la ma­dre, cari signori, è nientemeno che Faye Dunaway. Così l’inda­gine s’intreccia alla seduzio­ne, Colombo vacilla (mentre «la signora Colombo» è a casa a pre­parargli la cena) travolto dal fa­scino maturo, e per questo ancor più avvolgente, della criminale che pensa di intortarlo con due bacetti e una cravatta nuova.

Lui se la mette, quella cravatta nuo­va, anche se per poche ore. Però alla fine... beh la fine non voglia­mo replicarla, sul piccolo scher­mo di questa pagina. Chissà mai che siate fra i cinque o sei che non la conoscono.  

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