Caso Serravalle / Se Tabacci denigra la merce che vuol vendere

Caso Serravalle / Se Tabacci denigra la merce che vuol vendere

Caro signore, la macchina usa­ta che vorrei vendere in verità è un vero rottame, sembra tutto a posto ma rischia di rimane­re a­piedi dopo pochi chi­lometri, quindi ci pensi bene prima di acquistar­la. In compenso quella che vorrei comperare è un vero gioiello, di listino sareb­bero ventimila euro ma preferirei pagarla il triplo, li vale tutti (e tan­to non sono soldi miei). Questo di­scorso da manicomio è una buo­na rappresentazione dell’atteg­giamento della sinistra nei con­fronti dei beni pubblici e l’asta per la vendita della quota del comune di Milano nella famigerata au­tostrada Serravalle, ieri fis­sata con una nuova base ri­bassata a 145 milioni, ne costituisce un caso di scuola. Va bene che non tutti possono essere dei ma­estri di marketing, ma la lista delle “stranezze” del PD sulla ge­stione delle finanze sta cominciando a diventare troppo lunga per essere ignorata. Senza aprire i libri di storia con le famose «privatizzazioni» di Prodi e D’Alema, basterebbe ricordare i recenti «punti» proposti da Bersani nella sua contromanovra, nei quali, una riga sull’altra, propone la dismissione degli immobili pubblici e al contempo una tassa patrimoniale proprio su quegli immobili che vorrebbe vendere. Geniale. Ma torniamo alla Serravalle, che è un’autostrada e quindi non è un titolo internet, quindi dovrebbe avere un valore piuttosto costante e, soprattutto, non dovrebbe contare più di tanto la differenza fra una quota di minoranza e una di controllo, dato che l’azionista di maggioranza non ha particolari margini di manovra perché l’oggetto sociale è intoccabile. Ebbene, queste azioni della «nostra» autostrada sono state, come ormai è noto, vendute dal porto di Genova (controllato dalla sinistra) a 4,85 euro per azione, all’imprenditore «amico» Marcellino Gavio, poi, insieme con altre fino a costituire il 15%, sono state acquistate dalla Provincia del generoso Penati (e quindi da noi cittadini) per 240 milioni di euro pari a più di 8,8 euro per azione. Adesso che invece bisogna vendere ecco che scopriamo che, per dirla con le parole di Tabacci quest’estate, che «la Serravalle non avrà acquirenti», che «la quota è bloccata», che «non recupereremo i soldi» ed altre belle operazioni di marketing perfette per invogliare eventuali compratori. Non c'è da stupirsi se poi in effetti Tabacci è stato preso in parola e quindi adesso l’asta deve procedere al ribasso. Fantastico. Penati con i nostri soldi ha comperato il 15% dell’autostrada a 240 milioni e Tabacci non riesce a vendere (sempre per i nostri soldi) il 18% della stessa società a 145 milioni. La cosa bella è che tutti proclamano senza problemi che per la parte di loro spettanza si trattava di «valutazioni congrue». Sarà, ma allora la chiameremo sfortuna? Ripetiamo, non si tratta né di un titolo hi-tech né di una banca con titoli subprime, ma di un’autostrada che incassa pedaggi sempre in salita, al contrario delle sue azioni che salgono e scendono a seconda se l’ente pubblico guidato dalla sinistra deve vendere (nel qual caso sono spazzatura) o deve comperare (nel qual caso valgono oro).

Un’ultima ciliegina: fra i compratori potenziali di queste azioni che secondo Tabacci adesso sono così un pessimo affare si profila la società di Vito Gamberale, quello stesso che passò per la Telecom protagonista delle privatizzazioni e delle scalate del tandem Prodi-D’Alema ma soprattutto noto per essere il manager che seguì un’altra geniale «privatizzazione» della sinistra di governo, vale a dire la cessione di Autostrade SpA al gruppo Benetton che consentì agli acquirenti un ritorno a tripla cifra sull’investimento. Avanti così. Twitter:@borghi_claudio

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