Cassazione, ora è un reato dire: "Sei un gay"

Dire a qualcuno che è un gay è una vera e propria ingiuria, anche se la persona a cui è rivolta l’espressione ha effettivamente tendenze omosessuali. La Cassazione: è reato nonostante si dica chiaramente di non avere pregiudizi

Cassazione, ora è un reato dire: "Sei un gay"

Roma - Dire a qualcuno che è un gay è una vera e propria ingiuria, anche se la persona a cui è rivolta l’espressione ha effettivamente tendenze omosessuali e nonostante si dica chiaramente di non avere pregiudizi e anzi di essere "laici apertissimi". Parola di Cassazione che ha confermato una multa di 400 euro per ingiuria nei confronti di un vigile 60enne di Ancona che, il 17 novembre 2002, aveva preso carta e penna e aveva scritto ad un collega con il quale da anni vi era una accesa rivalità denunciando tra l’altro "il suo essere gay".

La decisione della Cassazione Secondo la prima sessione penale che si è allineata del tutto alla decisione del Tribunale di Ancona del maggio 2009, l’espressione è da censurare in quanto "per il contesto della sua utilizzazione esprime riprovazione per le tendenze omosessuali del contraddittorie e un inequivoco intrinseco intento denigratorio". Il 17 novembre 2002, ricostriusce la sentenza 10248 di Piazza Cavour, Dante S.aveva scritto a Luciano T., con il quale da anni vi era un "vivo antagonismo" per arrivare al posto di comandante della polizia municipale di Ancona, si era sfogato scrivendogli una lettera in cui nero su bianco denunciava "l’essere gay" del suo rivale che "aveva trascorso una vacanza in montagna con un marinaio e che era stato allontanato da un club sportivo frequentato da ragazzini".

La ricostruzione dei fatti Dante era stato immediatamente denunciato dal collega Luciano e in primo grado il giudice di pace di Ancona (settembre 2006) aveva condannato Dante S. ad una multa di 1500 euro per ingiuria. Multa che il tribunale di Ancona riduceva a 400 euro. Inutilmente Dante S.. la cui condanna era stata annullata una prima volta dalla Cassazione sostenendo che "il termine gay di per se non è offensivo e che nella specie non c’era animus nocendi dal momento che l’ imputato nella lettera aveva dichiarato di nutrire simpatia per Luciano T. di essere laico e apertissimo e di non giudicare i costumi sessuali di nessuno", ha fatto ricorso in Cassazione. La difesa ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che Dante S. non aveva alcuna intenzione di denigrare il collega ma che voleva semplicemente dirgli il perchè tra i due non si erano mai instaurati "rapporti di familiarità". Piazza Cavour ha dichiarato inammissibile il ricorso di Dante S.

e ha evidenziato che "non vi è spazio per la prova liberatoria" nei confronti del vigile urbano che aveva denunciato per iscritto l’omosessualità del collega. Il signor Dante , inoltre è stato condannato a sborsare mille euro alla cassa delle ammende e a rifondere il collega ingiuriato con 3mila euro per le spese processuali sostenute. 

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