Catania - Sono morti dentro una stanza dell’impianto di depurazione probabilmente per l’esalazione di sostanze tossiche, anche se non viene esclusa l’ipotesi di una scarica elettrica, o addirittura quella di una pompa entrata in funzione per sbaglio e che abbia inondato il pozzo di fango.
I corpi dei sei uomini erano uno sopra l’altro, come se ognuno di loro avesse cercato di salvare il collega di lavoro, senza farcela. È il film dell’ultima strage bianca consumatasi a Mineo, un paesino della piana di Catania. Le vittime sono due operai specializzati di Ragusa, Salvatore Tumino di 47 anni e Salvatore Smecca di 51, e quattro dipendenti del comune di Mineo (Giuseppe Zaccaria, di 47 anni, Giovanni Natale Sofia, di 37 anni, Giuseppe Palermo, di 57 e Salvatore Pulici, di 37. I cadaveri sono stati scoperti da un dipendente del comune che nel pomeriggio si è recato nell’impianto, a circa quattro chilometri dal centro abitato, dopo che alcuni familiari dei lavoratori, non vedendo tornare i propri congiunti per l’ora di pranzo, si erano recati in municipio per avere notizie. Li hanno trovati morti abbracciati uno con l’altro, quasi certamente nel tentativo di salvarsi a vicenda.
Per recuperare i corpi è intervenuta una squadra speciale dei sommozzatori dei vigili del fuoco, la Saf (speleo alpino fluviale), che si sono calati nella vasca con bombole di ossigeno. Secondo una prima ricostruzione i due operai avrebbero calato una scala in alluminio nella vasca che ogni mercoledì veniva ripulita e sarebbero entrati con un tubo che immette acqua ad alta pressione in un locale per pulire il filtro dai fanghi di depurazione che poi sarebbero stati caricati su un camion.
A quel punto, per motivi che ancora non sono stati accertati e su cui indaga la Procura di Caltagirone, i due si sarebbero sentiti male e gli altri quattro sarebbero via via intervenuti per aiutarsi a vicenda. «Li abbiamo trovati uno accanto all’altro, in fondo alla vasca, coperti dal fango - dice Salvatore Spanò, comandante dei vigili del fuoco di Catania -. Quasi certamente hanno tentato di salvarsi prima di rimanere intrappolati dentro quella camera della morte. Stiamo facendo tutti i rilievi necessari, con l’ausilio del nostro nucleo specializzato in interventi chimici e batteriologici, per trovare una spiegazione». E il colonnello Giuseppe Governale, comandante provinciale dei carabinieri, aggiunge: «La situazione è complessa, stiamo verificando con delle perizie tecniche per capire cosa può essere accaduto».
I sei operai vengono descritti come persone esperte. Giuseppe Zaccaria era rientrato proprio dalle ferie appositamente per i lavori che si dovevano svolgere nel depuratore comunale. Era infatti il responsabile della sicurezza della struttura, assieme a lui è morto anche il custode. Dopo avere appreso la notizia, i familiari delle vittime si sono recati nell’impianto, trasformato in un luogo di dolore e commozione. «Voglio vedere Giovanni, e fatemi vedere subito mio figlio, non ci posso credere...» ha urlato la madre di Giovanni Natale Sofia. La donna sostenuta da due familiari ha cercato di varcare il cancello, controllato da carabinieri e vigili urbani, ma inutilmente.
Sulla stradina che si inerpica verso Mineo, tra rovi e fichi d’india selvatici e piccole strade sterrate il dolore dei parenti delle vittime è stato evidente ma sommesso, quasi controllato. Tutti si sono abbracciati cercando di darsi inutilmente conforto e sostegno. La moglie di una delle vittime, giovanissima, ha urlato: «Perché proprio a me, mio Dio non è possibile».
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