Il «Cavallo pazzo» della Valanga azzurra ha perso la sfida

Non basterebbe un libro di 500 pagine per raccontare la straordinaria vita di Erwin Stricker, il cavallo pazzo della Valanga Azzurra morto ieri mattina all’ospedale di Bolzano dopo un’operazione al cervello. In 60 righe, cercherò di condensare storie e imprese di un uomo eccezionale, un grande campione che non ha mai vinto nulla di importante ma è, e sempre sarà, nella storia dello sci. Personaggio come pochi, intelligenza come forse nessuno, carisma da vendere, se solo uno degli sciatori di oggi ne avesse un decimo, di sci si parlerebbe tanto di più! Ora che ci ha lasciati per sempre, mi piace immaginarlo ancora lucido a urlare col suo vocione «Come sto male, la testa mi scoppia, ma anche stavolta ce la farò, ragazzi!» e giù una risata.
E invece no, stavolta non ce l’ha fatta, aveva già sconfitto la brutta bestia che l’aveva colpito al sistema linfatico, ma l’ultimo attacco è stato troppo feroce e ha lasciato una grande tristezza nel nostro mondo, perché uno come lui mancherà tanto, tantissimo. Come si dice giustamente nessuno è indispensabile, ma uno come lui non sarà sostituibile. Era un pezzo unico. Parlando ieri con Piero Gros e Paolo De Chiesa, suoi compagni di squadra che oggi andranno a Merano a fare le condoglianze a Linda Esser, la splendida moglie olandese di Erwin che negli anni Ottanta era aggregata alla nostra squadra per allenarsi e partecipare alla coppa del mondo, sono riemerse dal libro dei ricordi storie incredibili che ci hanno fatto ancora ridere e Erwin ne sarebbe stato contento, lui che ha chiesto di non fargli il funerale, ma di ricordarlo con una grande festa in un castello altoatesino.
Le storie dunque, per spiegare a chi non lo ha conosciuto chi era Erwin Stricker, nato in Austria nel 1950 ma cresciuto a Bressanone con mentalità aperta e tanta voglia di scoprire il mondo. A 14 anni è allo Stelvio, ma gli sci non sa quasi cosa siano, fa il cameriere in un hotel del Passo e la sua prima volta avviene per scommessa: «Scenderò dalla Nagler tutto dritto». La Nagler è una pista che oggi non esiste più, ci si allenava in slalom ed era ripidissima. Detto e fatto, Erwin la scommessa la vince, ma in fondo alla picchiata si disintegra contro un palo dello skilift: polmone perforato e tre mesi di ospedale. Sciare però gli era piaciuto ed eccolo, pochi anni dopo, approdare alla squadra nazionale, non una squadra qualunque, ma la Squadra più forte del mondo, la Valanga Azzurra di Thoeni e Gros, gli invincibili dei primi anni Settanta. Erwin è un polivalente, fa tutto e va forte in tutto, nel 1974 è fra i 5 del mitico gigante di Berchtesgaden e conquista il primo gruppo in discesa, gigante e slalom. Dove Stricker è assolutamente imbattibile è nel finire all’ospedale tutto rotto. «Sono sicuro che la tv austriaca farà uno speciale dedicato ai suoi voli pazzeschi» dice Piero Gros ricordando come Erwin si buttasse a capofitto senza mai pensare alle possibili conseguenze dei rischi che si prendeva.
Anche di recente, partecipando a un parallelo di Natale per ex, riuscì a distruggersi una gamba scendendo al 200%, come un pazzo, un cavallo pazzo, appunto.

Con un cuore grande così, però: «Erwin pensava molto agli altri, anche in squadra con i giovani era paterno, stimolava e caricava, era gentile anche con l’ultimo arrivato, coinvolgeva tutti nella sua goliardia, era sempre allegro, se in una stanza c’era lui tutta la gente gli andava attorno, era carismatico come pochi» ricorda Paolo De Chiesa, con Gros a sottolineare che «Erwin non è stato un campionissimo per il palmares, ma tutti si ricordano ancora di lui e anche grazie a lui la Valanga Azzurra è stata un mito dello sport italiano». Non sono parole di circostanza, è la pura verità.

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