L'unica volta che il destino entrò senza bussare nella vita di Lelio Luttazzi fu quel mattino del 22 maggio 1970: alla porta c'era la polizia. Fu arrestato per detenzione e spaccio di droga in una inchiesta che coinvolgeva anche Walter Chiari, Franco Califano e altri. La sua carriera improvvisamente si bloccò, le manette poi si aprirono ma continuarono per decenni a tenere idealmente, ma pure concretamente, sotto scacco il suo animo. Oggi, 27 aprile, questo gigante della musica italiana compirebbe cent'anni ed è tuttora struggente pensare che un caso di malagiustizia abbia frenato, clamorosamente frenato, la creatività di uno dei più completi musicisti della storia italiana non solo del Dopoguerra.
Lelio Luttazzi era nato a Trieste nel 1923 e ben presto capì che al codice civile della facoltà di Giurisprudenza preferiva il codice libero della facoltà di jazz e, a vent'anni, iniziò a suonare ovunque potesse in quell'epoca di guerra, di povertà e, soprattutto, di ignoranza. Per il regime fascista, il jazz era musica «negroide», guai ad ascoltarla, e nessuno o quasi conosceva l'idolo di Luttazzi, ossia Louis Armstrong. Suonare jazz non era solo un piacere ma pure una sfida alle regole, ai gerarchi, talvolta anche al pubblico. Una sera del 1943 si esibisce con il famoso Ernesto Bonino che gli chiede una canzone. Luttazzi gliela spedì, si intitolava Il giovanotto matto e, nel marasma della guerra, non si accorse che era diventata un successo che ancora oggi, 80 anni dopo, qualcuno ricorda. Da quel momento il giovanotto matto Lelio inizia a diventare il golden boy della «musica alta». Dirige la casa discografica Cgd dell'amico triestino Teddy Reno e, tra gli artisti sotto contratto, c'era pure Johnny Dorelli. Lo chiamano a Roma per salire sul podio dell'orchestra ritmica Rai e da lì alla radio il passo è stato brevissimo.
Con Gorni Kramer il programma Nati per la musica diventa un successo nell'Italia ancora in preda, come dicevano i Cantacronache di Italo Calvino, alle «canzoni gastronomiche» sublimate dal Festival di Sanremo. Luttazzi, bell'uomo austero e musicista sopraffino, divenne uno dei simboli della nuova musica italiana che metabolizzava i ritmi afroamericani per traghettare il jazz o lo swing nel nostro immaginario musicale. Luttazzi è il golden boy. Funziona in radio. Funziona in tv (dove esordisce come direttore d'orchestra nel 1955). E funziona come compositore visto che firma anche Una zebra a pois per Mina, Vecchia America per il Quartetto Cetra, Souvenir d'Italie, El can de Trieste (cantato da lui in dialetto) Eccezionalmente, sì per Jula de Palma e You'll say tomorrow registrato in italiano da Sophia Loren. Quando inizia a condurre programmi, va ancora meglio. Debutta nel 1962 con una sconosciuta Raffaella Carrà poi fa il leggendario Studio Uno con Mina, Doppia coppia con Sylvie Vartan, Teatro 10, Ieri e oggi che diventa un suo appuntamento abituale. Ovviamente il cinema non poteva lasciarselo scappare. Recita per Michelangelo Antonioni (L'avventura) e Dino Risi (L'ombrellone) e compone molte colonne sonore tra le quali quella di Totò, Peppino e la...malafemmina (la scena della celebre lettera in italiano precario arriva poco dopo un suo intermezzo).
Quando la Rai gli affida nel 1967 la conduzione di Hit parade (con la classifica dei 45 giri più venduti secondo la Doxa), Lelio Luttazzi entra definitivamente nell'immaginario degli appassionati di musica. Il celebre urlo «Hiiittt Paradeee» che apriva la trasmissione non era solo il più atteso da chiunque amasse la musica ma era il momento cruciale anche per gli artisti e i discografici che attendevano di conoscere la sorte dei loro brani. Insomma a fine anni Sessanta Lelio Luttazzi era uno dei pochi artisti davvero multitasking: faceva tutto e lo faceva bene.
Però quel mattino di maggio 1970 tutto si spezzò. Tempo prima il suo amico Walter Chiari lo aveva chiamato a casa e, alla domestica, chiese di fare una telefonata a un tale Lelio (coincidenza) e trasmettere un messaggio perché «io sono all'Hotel Baglioni di Bologna e non riesco a raggiungerlo». Luttazzi telefona allo sconosciuto, che in realtà è uno spacciatore, e finisce nei guai. La polizia lo intercetta e il magistrato lo rovina. Luttazzi viene scarcerato dopo ventisette giorni, completamente scagionato dagli addebiti. Una vicenda drammaticamente simile a quella di Enzo Tortora tredici anni dopo (tra l'altro Tortora scrisse dell'arresto sulla Nazione prima accusando e poi scusandosi). Una vicenda pazzesca e purtroppo non unica, come confermano anche le ultime cronache. Su questo Luttazzi scrisse il libro Operazione Montecristo che ispirò anche il film Detenuto in attesa di giudizio di Alberto Sordi.
Dopo la scarcerazione Luttazzi ritorna anche a Hit Parade ma rimane sostanzialmente nell'ombra per tanti anni. Incontra la sua donna definitiva, la dolcissima Rossana, quella che ancora oggi ne tiene luminosa la memoria. «Io lavoravo a Il Giornale, ci siamo conosciuti a casa di un'amica giornalista, io ero molto più giovane di lui ma abbiamo deciso che saremmo stati insieme e lo siamo stati per 36 anni, ci siamo sposati ed è stata una favola» ha detto tempo fa. Dopo essere stato quasi dimenticato, Luttazzi ritorna sotto i riflettori anche grazie a Fiorello (sempre sia lodato), si rifa vedere a Sanremo (con Arisa) riceve l'omaggio tardivo e mai sufficiente di un pubblico al quale un giudice colpevole l'aveva sottratto. Adesso esce un disco che si intitola Oltre il blu come uno degli inediti in sclaetta.
Qui lo canta la sorprendente Drusilla Foer ed è l'ultima canzone scritta da Lelio Luttazzi poi morto nel 2010, un gigante della musica italiana che una miserabile leggerezza giudiziaria ha brutalmente stordito togliendo a lui la serenità e a tutto il pubblico il piacere di goderne il talento.
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