Ardita terza via tricologica fra la calvizie e il trapianto chirurgico, il riporto nellimmaginario lombrosiano è indice di doppiezza sfuggente, di subdola untuosità, di sottile ipocrisia. Falsificazione dellidea stessa di scriminatura, non sta né di qua, né di là. Chi sceglie il riporto è un pavido, perché non ha il coraggio di rasarsi del tutto (...)
(...) i capelli. E un mellifluo, perché vuole convincerti bassamente di averli.
Chi lo porta, il riporto, è un sofista del pelo, un azzeccagarbugli cutaneo, un infido doppiogiochista. Sarà per questo, forse, che lacconciatura posticcia eccelle tra gli uomini di legge e tra i politici. I quali, a caso, sono famosi per spaccare il capello in quattro. O cercare il proverbiale pelo nelluovo.
È un magistrato Alfonso Marra, presidente della Corte dappello di Milano, balzato in questi giorni agli onori della cronaca per la vicenda P3 e per limpresentabile riporto raccomandatizio, tinto di colori oscuri. È un politico di lungo pelo lonorevole Gerardo Bianco, deputato in nove legislature, esponente di quattro partiti e titolare di un imponente riporto da prima Repubblica, poi azzerato dalle Mani pulite di un colluso barbiere di Montecitorio. Ed è avvocato e politico, sintesi pilifera delle sottigliezze proprie della professione leguleia e dellarte di governo, il presidente del Senato Renato Schifani. Il cui gattopardesco riporto, di una lunghezza che stava in sezione aurea con il diametro degli occhiali da archivista, divenne a un certo punto un affare di Stato, oltre che una questione di decoro istituzionale. Tanto da costringere pietosamente il Premier ad intimargli, come si disse, di dargli un taglio. In nome del popolo italiano e pure della decenza televisiva. Berlusconi Deus ex forbice.
Per secoli tollerato dalle convenzioni sociali che vedevano nella rasatura totale un atto di arroganza e nella calvizie un sintomo di scarsa virilità, il riporto dei capelli è oggi (purtroppo!) in caduta libera, vittima di una cultura spietata della perfezione corporea che impone o una nuca cinematograficamente levigata alla Luca Zingaretti, oppure un tupé sportivamente glamour alla Andre Agassi. Aut aut. Anche la semicalvizie, di questi tempi, è in crisi.
Eppure, la Storia riporta celebri e celeberrimi casi. Giulio Cesare, generale, dittatore e divus, non ebbe paura né dei Britanni né dei Galli né degli Elvezi né dei senatori romani, i peggiori di tutti. Ma era terrorizzato dalla calvizie, sovente soggetta alla derisione dei suoi nemici. Anche prima del furore della battaglia, dicunt, Cesare si dedicava a tirarsi sulla fronte, dalla sommità del capo, gli scarsi capelli. E fra tutti gli onori che gli furono conferiti dal Senatus populusque romanus nessuno ricevette e praticò più volentieri del diritto a portare sul capo una (coprente) corona dalloro. Alopecia iacta est.
Napoleone, orgoglioso e vanitoso comera, odiava due cose in uguale misura: gli inglesi e lincipiente calvizie. Per vincere la quale ricorreva, nella toilette quotidiana, al deprecabile riportino, conscio che un taglio o unacconciatura sbagliata possono trasformarsi in una tragedia. Sia in guerra sia in amore, sia in politica sia in televisione. Dove, peraltro, il riporto o parrucchino catodico ha fatto la fortuna di altrimenti anonimi giornalisti, come il telecronista di 90° minuto Franco Strippoli da Bari, oppure ha rinfoltito quella di sempreverdi capoccia dello schermo, come Aldone Biscardi. Professione riport.
Linclemenza della natura può colpire democraticamente tutte le teste. Ma tra quelle baciate dalla fortuna epperò abbandonate dai capelli, quelle costrette per obblighi professionali a stare sotto i riflettori, rifulgono di più. Ecco perché il cinema e lo sport, in questo campo, hanno dato tanto. Il riporto col borsello di Lino Banfi nelle scollacciate commedie sexy allitaliana di viscida memoria. Lelegante riporto allinglese di Bobby Charlton, che prima di ogni partita utilizzava come collante una miscela di the Twinings e lucido per scarpe Queens Garden. Lincomprensibile riporto allamericana di Dan Peterson, Chattanooga Tennessee. Mmmhmmh, per me Numero uno. Oppure, negli stessi anni televisivi, Dick Van Patten alias Tom Bradford della Famiglia Bradford, che aveva otto figli Bradford e un riporto lungo 112 episodi.
Bislungo modello «Bar sport», spalmato «a mulinello», pomposamente «a turbante», liscio o gonfiato, unto o laccato, il riporto è un modo, come ogni pettinatura, per affermare il proprio carattere, per provocare scandali (o disgusti), per opporsi alle consuetudini sociali o anche soltanto per proclamare la propria filosofia di vita: «Poco è meglio di nulla», afferma cristianamente il riportato; «Nulla è meglio di poco», obietta nietzscheianamente il rasato.
Può essere un insulto alla povertà, come il miliardario Donald Trump che mostra con orgoglio il suo riporto imperiale senza aver pudore nel difenderlo: «Molti criticano la mia pettinatura. Ma io devo piacermi, non piacere». O uno schiaffo alla bellezza, come lattore hollywoodiano Jude Law che pur con il suo affascinante «ritocco» nel 2004 fu eletto dalla rivista People l«uomo più sexy del mondo».
Maledizione geneticamente maschile, insormontabile barriera sociale e ultima spiaggia al di là dellonore e della farmacologia, il riporto - che non maschera mai abbastanza e copre sempre troppo poco - è, come lo stereotipo teatrale del dubbioso Amleto, la metafora di una inquietante insicurezza. Spaventosa, come quello di Dario Argento. Incomprensibile, come quello di Celentano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.