Cesare Picco in viaggio tra cembalo e pianoforte

«Viaggio e libertà. Sono i due sostantivi ai quali mi ispiro per trovare la strada, ogni volta diversa e imprevedibile, in ogni mio concerto. Sapere come si parte e non sapere cosa si può scoprire nel proprio cammino. Tenere i sensi accesi e vivi, per lasciarsi felicemente sorprendere, pensando che anche da un minimo e inaspettato contrattempo si possa trovare una nuova risposta utile alla propria esistenza».
Poche battute per riassumere la filosofia del pianista e compositore vercellese Cesare Picco, classe 1969, studi classici e tanta gavetta alle spalle, che ha eletto l'improvvisazione e le sfide al limite dell'impossibile a tratti essenziali della suo percorso di artista.
Pochi mesi fa - era dicembre - Picco, che spazia dal jazz (Bill Evans la sua principale fonte di ispirazione) a libere interpretazioni di Bach, utilizza le possibilità dell'elettronica e non disdegna echi pop nelle sue composizioni, ha suonato in un Teatro Smeraldo completamente immerso nel buio: «Ero stato alla mostra “Dialogo nel buio“ all'Istituto dei ciechi di Milano. Uno schiaffo salutare in faccia. Lì m'è venuta l'idea di usare il buio come elemento scenico per un concerto ribattezzato "Blind date", appuntamento al buio. Mentre suonavo, mi chiedevo: chi sei? Dove sono le tue mani? Poi ho capito che le mani sapevano dove andare. Improvviso da 30 anni, ma mi sono venute fuori cose che non pensavo di avere. Le mani sono legate alla dittatura della vista, scelgono vie comode. Nel buio, libere, ricercano territori nuovi». Stasera (ore 21, ingresso 25 euro) lo ritroviamo al Blue Note con un altro, curioso e un po' folle progetto dal titolo «What?» che rappresenta un vero e proprio «invito al pubblico a una nuova dimensione di ascolto». A riprova della propria poliedricità, il musicista, tra i jazzisti europei più amati in Giappone, non farà altro che rileggere il proprio repertorio alternandosi al pianoforte e a un clavicembalo a due tastiere. Strumento (Picco suonerà su replica di un cembalo francese Paschal Taskin del 1769, costruito per lui da Roberto Marioni e amplificato per l'occasione) già usato in contesto pop da Ennio Morricone e dai Rolling Stones e in ambito jazz da McCoy Tyner, che entra per la prima volta nel jazz club di via Borsieri.

Obiettivo del jazzista: capire quanto un suono espressione di armonie provenienti dai secoli barocchi possa trovare un punto di contatto con la musica di oggi. Perché lui è un musicista che ama il passato, ma solo per costruire il futuro.

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