"Che bello il gran teatro dell’aldilà"

Il regista Franco Zeffirelli si confessa: "La morte è solo un passaggio, come emerge dalla mia Carmen allestita all’Arena". E sui nuovi progetti: "Sono sconvolto dal rinvio dei “Fiorentini”, film sulla lotta fra Michelangelo e Leonardo"

"Che bello il gran teatro dell’aldilà"

Quando appare vestito d’azzurro cielo come un angelo del Perugino caduto nel bosco che cinge la sua villa immersa nel silenzio dell'Appia Antica, i tre cani che mi hanno accolto con ostili latrati tacciono all’improvviso ritirandosi suadenti ai suoi piedi. Mentre Franco Zeffirelli, dopo avermi scrutato benevolmente coi suoi occhi chiari, mi chiede con una punta d'ironia: «Allora, cosa vuol sapere?». Gli dico subito che voglio saper tutto. «Tutto e nient’altro che tutto nel corso di un solo colloquio?», incalza divertito lui, il predestinato. «Allora non perdiamo tempo, sono qui alla sbarra, pronto a far lume su ogni misfatto!».
Anche sulla scelta che sta per compiere tra Firenze e Roma a proposito della Fondazione destinata ad accogliere la sua eredità culturale?
Il Maestro mi guarda sospettoso. «Grazie a Dio è un problema vicino alla soluzione. Che non dipende da me ma dalle strutture».
Non mi dica che Firenze non possiede uno spazio adatto ai suoi bozzetti, disegni, fotografie, plastici.
«Mio caro, a Roma il sindaco mi offre ospitalità all’Eur ma chi mi garantisce in riva all’Arno un edificio pronto a caricarsi del mio passato?. Vorrei di gran lunga arricchire Firenze dello spoglio integrale del mio lavoro. Sarebbe il coronamento di quel poco o tanto che sono riuscito a fare quando,con la fraterna complicità di Oriana Fallaci, ottenni che un tram con tanto di rotaie non snaturasse il Duomo e il Battistero per incrementare...».
Cosa?
«La tremenda calamità del turismo di massa che, per dare un’occhiata distratta ai capolavori, vuol viaggiar su quattro ruote tramutando le città d'arte in toboga da Luna Park».
Cosa si può stornare questo scempio?
«Ahimé, non è più tra noi il mio amico Rol. Lui solo potrebbe rispondere a una domanda simile».
Parla del famoso veggente? Non mi dica che è stato in rapporto con lui.
Se ne stupisce? Il professor Gustavo Rol non era un medium ma un mistico che scorgeva la vita che ci attende una volta deposto l’involucro del corpo».
Ne ha avuto esperienza diretta?
«Alla morte di Luchino Visconti, piombai in uno stato di profonda malinconia al limite della depressione. Da cui mi guarì solo lui, l’amico che risiedeva a Torino, la città dei misteri».
Cosa avvenne in quella circostanza?
«Rol pregò me ed altre persone di metterci in tasca un foglio bianco e di leggerlo qualche minuto dopo che lui avesse vergato con le dita un interrogativo nell’aria. Quando fu il mio turno di riprendere in mano quel pezzetto di carta rimasi sbalordito. Conteneva, scritto con la sua inconfondibile calligrafia, un messaggio di Luchino».
Cosa ne dedusse?
«Che la morte è solo un passaggio oltre la porta stretta del tempo, come dice Gide».
Non mi dica che questa rinnovata fiducia nell’incognita che ci circonda ha influito sul suo lavoro?
«Non glielo dico, glielo confermo. Ha visto come negli anni si è modificata la mia visione di Carmen, l’opera di Bizet?».
L’ho vista un mese fa a Verona e l'ho molto apprezzata. Con quella piazza di Siviglia striata da cima a fondo da una patina cangiante degna di Delacroix.
«Peccato non abbia veduto le altre versioni di Carmen che si sono succedute negli anni, come quella del Metropolitan».
Cosa c’era di diverso?
«Poco o nulla in apparenza. Moltissimo nella sostanza. A New York nei colori primari che per osmosi si compenetravano uno nell’altro la vita prendeva il posto della morte prima di fondersi in un’aurora tragica quando Carmen, la vittima, si avvicinava a José. In Arena invece...».
Invece?
«La scena ospitava il Gran Teatro dell’Aldilà, con la comparsa dello strano volto della gitana stampato sul sipario di un teatrino da campo che,dal fondo, ammoniva sulla vacuità della sorte».
Guarda, guarda. Vuol dirmi che la catarsi e il senso del destino per Zeffirelli si ricava dall'armonia dei...
«Colori? Ma certo. Per chi crea in funzione della scena i colori sono come l’arcaica essenza delle parole per uno scrittore, non crede?».
Ne convengo, ma adesso mi sveli cos’ha provato quest’estate a Verona quando ha ripreso cinque opere del suo repertorio.
«C’è chi mi accusa di far continue riletture di Verdi, Puccini o Leoncavallo. E sbaglia di grosso perché per me tornare sui miei passi vuol dire iniziare una nuova ricerca. Come fanno i grandi artisti del canto. Penso alla Callas che mi diceva sempre: “Ho fatto solo 58 recite di Traviata. Troppo poco per impadronirmi della voce di Violetta. Di cui ho potuto mostrare solo lo scheletro”».
D’accordo, ma io le chiedevo...
«Ha ragione, sono un chiacchierone. Ma posso dirle ben poco degli altri quattro titoli, oltre alla soddisfazione del successo ottenuto».
Ma come! Possibile le interessi solo la Carmen?
«Per lei farò un’eccezione: Aida».
È l’opera che ama di più?
«Proprio così. È un capolavoro che contiene tutta la follia e la grandezza del mondo. Per questo adesso ho voluto una piramide, un simbolo immenso, un’immagine del divino che tutti ingloba nella sua vastità».
Sia vincitori che vinti?
«Esattamente, come il vortice nei racconti di Lovecraft».
È vero che all’azione ha aggiunto un personaggio inedito?
«Ho immaginato nel cuore di Menfi la presenza inquietante di una donna in stato di estasi. Una sacerdotessa di nome Akmen ovvero una conduttrice di energie celesti che guida il destino dell’uomo. È lei che esegue la danza rituale al Tempio prima che Radames parta in guerra. Ed è lei che all’epilogo spinge Amneris, dopo la morte dell’uomo amato, al potere assoluto».
E che mi dice del cinema? Vedremo presto una nuova megaproduzione con la sua firma?
«È prematuro parlarne. Sono ancora sconvolto per il rinvio, che suona come una campana a morto, del progetto dei Fiorentini. Il film che doveva raccontare la lotta senza quartiere intrapresa in nome dell’arte tra Leonardo, il poeta del profondo, e Michelangelo, il poeta di un corpo che si fa spirito sotto l'occhio di Dio».


E il teatro di prosa? Possibile nessun produttore le proponga l’edizione italiana degli splendidi spettacoli di Eduardo da lei varati con Laurence Olivier nella Londra degli anni settanta?
«Ahi ahi, con Filumena Marturano e Sabato,domenica e lunedì, ha toccato un tasto delicato. Si ricorda o no che presso la haute couture radical-chic che domina la cultura del paese, il nome Zeffirelli non è sinonimo di zefiro ma di zizzania?».

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