(...) conoscerla (i rispettivi mariti avevano lo stesso hobby in comune), e lei mi chiese: «devo venire vestita di blu, come una signora bene genovese, o posso vestirmi da torero? Pensando a una battuta simpatica, tanto per «rompere il ghiaccio», ovviamente le dissi di si, e potete immaginare il mio stupore quando la vidi arrivare con un cortissimo vestito «rosso fuoco», lei, non proprio più una ragazzina, ma che si capiva subito, voleva essere tutta «issima»: scollatissima, biondissima con due grandissimi occhi verdi, incorniciati da improbabili, lunghissime ciglia finte. Ricordo che mi chiamò poi la mattina dopo, perché aveva dolori molto forti agli occhi, e non riusciva quasi nemmeno ad aprirli. La accompagnai al pronto soccorso dove, a un collega oculista più «sorpreso» di me, dichiarò di avere usato, la sera precedente, per togliersi le ciglia finte un flacone di «acetone» da unghie! Da allora avevo provato per lei una simpatia quasi «materna» e avevo più volte cercato anche di metterla in guardia da chi si voleva approfittare di lei (ed erano in molti) e del suo bisogno di «apparire» e di essere amata. Non mi ascoltava però, quando cercavo di porre dei limiti ai troppo frequenti interventi di chirurgia estetica, o ad acquisti di abiti o accessori, ad esempio lunghe (e costose) parrucche di tutti i colori (anche viola) che operatori, a mio avviso privi di scrupoli, continuavano a suggerirle per «renderla più affascinante». Ricordo il dispiacere nel vederla prendere in giro, (di nascosto) dalle altre «amiche» (che sicuramente solo oggi prenderanno le distanze da lei), mentre apertamente solo io cercavo di farle comprendere i limiti fra la normale cura del proprio aspetto, e il (patologico) desiderio di rimanere sempre giovani. Ricordo anche le discussioni (a volte accese) con lei, quando, ovviamente amatissima dalle mie figlie allora bambine, le riempiva di regali (troppi), e insegnava loro a «trasgredire», ad esempio buttando dentro al bicchiere dell'acqua, a tavola, tutto quanto fosse possibile: sale, pane, vino, pasta... tale miscela, che lei chiamava «porcum», era a suo dire indispensabile per rendere i bambini capaci di «ragionare con la propria testa» e «non diventare schiavi delle abitudini»!
Sono sei anni che non frequento più la «ragazza» Maria, proprio a causa di molte divergenze fra di noi, ma le sono affezionata come prima, e così anche le mie figlie.
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