Chi si nasconde dietro le proteste Black lives matter

"Siamo marxisti indottrinati". Dicono di combattere razzismo e ingiustizie ma gli stessi fondatori proclamano di volere un futuro comunista per gli Usa

Chi si nasconde dietro le proteste Black lives matter

«Siamo anticapitalisti. Crediamo che i neri non otterranno mai la liberazione sotto l'attuale sistema capitalista», scriveva il Movement for Black Lives (M4BL), a giugno. Sullo sfondo le immagini, che hanno percorso avanti e indietro l'Oceano, della ripartenza del campionato NBA nella «bolla» di Orlando (tutti in ginocchio in onore del Black Lives Matter). Poi lo stop di gara 5, il 26 agosto, per il caso Blake.

Bizzarro che lo sport capitalista per eccellenza, fatto al 99% da neri, dove gira più denaro che nel calcio europeo, celebri il movimento, per sua stessa ammissione, più razzista, anti capitalista e comunista. «Abbiamo una struttura ideologica. Alicia (Garza) e io siamo qualificate. Siamo marxisti indottrinati», diceva a luglio Patrisse Cullors, cofondatrice del Black lives matter (BLM) e «attivista queer». «Se questo Paese non ci dà ciò che vogliamo, distruggeremo il sistema. Metaforicamente e in senso letterale».

Il BLM viene venduto come un movimento che combatte il razzismo e le ingiustizie, ma sono i suoi stessi fondatori e discepoli a raccontarne l'anima marxista che sogna di trasformare gli Stati Uniti e il mondo intero in una distopia comunista. Tra i loro mentori ed educatori ci sono ex membri del Weather Underground, gruppo terroristico comunista che, negli anni '60 e '70, tra attentati e rivolte, provò a portare la falce e il martello negli USA al grido di «Siamo un'organizzazione di guerriglia. Siamo comunisti, clandestini negli Usa». La Cullors è stata educata da uno di loro. E tanti ex, oggi, sono eminenze grigie del movimento BLM.

Il BLM dice di odiare la famiglia naturale e sogna di riuscire ad abolirla, insieme alla polizia, le prigioni, l'eteronormatività e il capitalismo. Lo ripetono sempre nelle interviste disponibili anche su YouTube, quando minacciano di «distruggere tutto» se le loro richieste non saranno soddisfatte. Oggi addestrano gli iscritti, come le Black Panthers degli anni '60.

Il guerrafondaio movimento nasce dalla menzognera premessa che gli Stati Uniti sono «in guerra» con gli afro-americani. Un mito dell'era Obama che, oltre a esser stato sbugiardato dagli editoriali degli stessi giornaloni Usa, e che ignora la catena di responsabilità tutte dem dei vari casi Floyd, è innamorato del vandalismo iconoclasta. Secondo i dati del FBI, antecedenti l'omicidio Floyd, un nero ha 11 volte più probabilità di essere ucciso da un altro nero che da un bianco.

Il BLM non vanta neanche una delle verginità più in voga oggi, quella del fiscalmente corretto. Non è registrato come organizzazione no-profit, raccoglie milioni di dollari in donazioni, ma le finanze sono poco limpide. Le donazioni vengono raccolte da ActBlue, la nota piattaforma di raccolta fondi legata al Partito Democratico e alle cause più disparate della sinistra-sinistra: dalla campagna presidenziale di Sanders alle associazioni transgender fino a Biden. In effetti, i leader del BLM hanno confermato che l'ossessione fondamentale è quella di rimuovere Trump.

Il M4BL, che sostiene «leader giovani, neri, queer, trans, femministe, clandestini», ha come sponsor fiscale l'Alliance for Global Justice, un «gruppo anticapitalista» a sua volta finanziato dalla Tides Foundation, la Arca Foundation e ovviamente dalla Open Society Foundations. E trasferisce denaro a più di due dozzine di organizzazioni, tra cui LGBTQ Black Immigrant Justice Project e The Undocumented and Black Convening.

Il Black Lives Matter nasce nel 2013, quando George Zimmerman, responsabile della vigilanza di quartiere, veniva assolto dalle accuse di omicidio di un 17enne afroamericano. Alicia Garza, un'afroamericana di Oakland, in California, pubblicò su Facebook «una lettera d'amore alle persone nere». La Cullors, afroamericana di Los Angeles, ripubblicò la lettera con l'hashtag #BlackLivesMatter. Il resto è una storia lunga sette anni dove la causa dell'antirazzismo è diventata marginale e le istanze sempre più estremiste: ideologia gender, agenda anti-famiglia, l'idea che il razzismo sia sistemico, l'abolizione di razze, classi sociali, sessi, religioni per un mondo più «uguale e libero».

Uno studio accademico intitolato «The Queering of Black Lives Matter», descrive in modo molto dettagliato come le questioni relative all'orientamento di genere abbiano la priorità sulla lotta al razzismo. C'è un'enfasi tale sull'omosessualismo che già nel 2016 un lunghissimo pezzo sul NewYorker si domandava se il BLM fosse «un movimento gay che si maschera da movimento nero».

Tante pizzerie negli Usa oggi sottolineano che il 20% del conto andrà al BLM. E sarà pure un modo per farsi pubblicità, ma, intanto, potrebbero, sempre sul retro del cartone, raccontare anche la storia di Susan Rosenberg, la donna che ne gestisce le donazioni e che ieri giocava a fare la terrorista nel M19 - l'organizzazione comunista Usa che, come il BLM, riuniva lesbiche nel sogno di rovesciare con la lotta armata il governo. La Rosenberg oltre a far scappare di galera la Shakur - la prima donna a essere definita dal FBI «la più pericolosa dei terroristi» -, è stata protagonista di attentati e omicidi che le sono costati la condanna a 58 anni di galera. Ma ne ha scontati solo 16, prima di essere graziata da Bill Clinton.

Il pallino del razzismo, però, resta. La co-fondatrice di BLM Toronto, Yusra Khogali, infatti sosteneva già quattro anni fa che «i bianchi non sono esseri umani, ma subumani con un difetto genetico recessivo». A una manifestazione del BLM di Filadelfia è stata interdetta la partecipazione dei «non neri».

I leader del BLM affermano che la loro organizzazione si oppone alla tradizione cristiana, è anti semita e anti israeliana, pratica stregoneria, lotta per abbattere le statue di Gesù perché bianco e sostiene l'aborto. Evidentemente non tutte le vite nere contano.

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