Ciak, una stagione lunga 30 anni: da Jimi Hendrix a Gaspare e Zuzzurro

Igor Principe

Gli anni non sono proprio a cifra tonda. Ne sono passati ventinove da quando fu fondato, nel 1977. Ma le «stagioni» sì: quella che comincia il prossimo ottobre sarà per il teatro Ciak la trentesima. Un traguardo importante, dal quale, gettando lo sguardo indietro nel tempo, si colgono le radici di un modo di fare spettacolo che ora piace tanto. Un modo teso lungo un arco che va dal cabaret al teatro brillante.
A dargli vita, nel ’77, è però un uomo legato a doppio filo con il mondo della musica. Si chiama Leo Wächter, ha origini tedesche ed è conosciuto come «l’impresario dei Beatles». È grazie a lui, infatti, che gli «scarafaggi» di Liverpool tengono lo storico concerto del Vigorelli, nel ’65. Ed è grazie a lui che nel 1968, Jimi Hendrix fa tappa al Piper Club di Milano, fratello minore dell’omonimo e ben più noto locale romano. «Per Leo era nell’ordine delle cose», racconta Paolo Scotti, direttore artistico delle Officine Smeraldo (la società che gestisce il teatro Smeraldo e il Ciak). «Si capisce da come ne parlava. “C’è questo chitarrista che arriva il pomeriggio per la prova, ma sviene sul palco”, ci diceva. “Non si riprende fino alle 8 di sera. Io avevo due spettacoli, uno alle 7 e uno alle 10. Il primo salta, ma siccome non posso mandar via la gente, dico loro di venire a quello dopo. Sicché nel locale mi ritrovo duemila anziché mille persone. Alle 8 il chitarrista si riprende, mangia una bistecca da un chilo, sale sul palco e fa un concerto memorabile”». «Nessuno di noi aveva capito chi fosse - prosegue Scotti -, allora glielo chiediamo. Leo si volta verso la figlia, lei gli bisbiglia qualcosa e lui ci fa: “Era il Jimi Hendrix“».
Non che per Wächter i nomi non contassero. Ma l’attenzione è tutta per due cose: la qualità e l'innovazione. Quest’ultima si incarna nella formula che l’impresario studia per il teatro. «Papà pensava ci volesse uno spazio per rilanciare il cabaret e il jazz, due suoi grandi amori», racconta la figlia, Patrizia Wächter, che ora si occupa di cinema (è l’addetta stampa per l’Italia del Festival di Locarno). «Trovò questo cinema alla periferia milanese, il Dea, e lo rilanciò con la formula cara all’avanspettacolo: un film, intermezzo con uno spettacolo, un altro film. Il biglietto costava 1500 lire. Fu una scommessa. È vero, c’erano grandi nomi: Jango Edwards, il grandissimo jazzista Max Roach. Ma c’erano tanti, tanti esordienti. Franco Battiato, per esempio, fece da noi il suo debutto».
La fama del Ciak come ribalta per le giovani leve si diffonde in un niente. «Allora facevo l’impresario per i comici - riprende Scotti -: Paolo Hendel, Gioele Dix, i Gemelli Ruggeri. Per loro, e per me, il Ciak era una tappa fondamentale. E lo è stato per un’intera generazione, che da lì è partita per affermarsi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, come Alessandro Bergonzoni o Giobbe Covatta. E Zuzzurro e Gaspare, che erano già famosi ma che al Ciak hanno avuto modo di mettere in scena le commedie di Neil Simon».
Per diciannove anni, fino al ’96, la gestione è della famiglia Wächter: Leo fino al ’90, la figlia Susanna per altri sei anni, prima che un incidente stradale la strappasse alla vita. Quindi un breve interregno di Maurizio Costanzo, che prova a farne un Parioli milanese. Non ci riesce, e nel 1999 il teatro passa a Gianmario Longoni, che ora guida le Officine Smeraldo. Come direttore artistico, Scotti ha in testa un’idea chiara: «Mantenerne lo spirito originario. Non è facile, ora c’è più appiattimento, meno voglia di cercare e i proporre qualcosa di nuovo». «Lo capisco - gli fa eco Patrizia Wächter - prima il teatro era il trampolino di lancio, ora lo è la televisione.

Il Ciak dei primi tempi era una famiglia, che accoglieva e curava i suoi artisti. Lo show business è ha cambiato radicalmente le cose; ma credo che Scotti saprà ricreare quell’atmosfera familiare». Se non è un’investitura, poco ci manca.

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