Cibo sospeso gradualmente per non urtare gli infermieri

IL PROTOCOLLO L’intesa tra medici e familiari indica già nel dettaglio le tappe verso la morte della paziente

Gli ultimi giorni di Eluana Englaro sono descritti in nove pagine fitte di prescrizioni. Sotto l’eufemistica burocrazia di un titolo palliativo come i trattamenti cui verrà sottoposta («Attuazione della sentenza della corte d’appello di Milano riguardante la volontà di Eluana Englaro»), si nasconde il dettagliato protocollo che la struttura sanitaria dovrà seguire per accompagnare la donna a morire. È un testo drammatico dietro l’apparente asetticità del linguaggio giuridico, il diario anticipato di un’agonia che durerà quindici giorni.
Non vi si dice che Eluana morirà, ma che verrà sospeso il «trattamento vitale artificiale». Non è scritto che non sarà più nutrita, ma che alimentazione e idratazione «vengono sospese gradualmente, al fine di consentire la familiarizzazione del personale assistenziale con le condizioni cliniche» della paziente: sembra che ci si preoccupi più dei nuovi infermieri che della povera Eluana. Già dal secondo giorno di ricovero l’alimentazione sarà dimezzata, il terzo subirà un ulteriore taglio del 50 per cento, il quarto definitivamente sospesa. Il sondino attraverso il quale da 17 anni passa il suo sostentamento «sarà lasciato a dimora»: non vi transiterà più cibo ma un sedativo. La morte arriverà dopo una decina di giorni. Il corpo verrà sottoposto ad autopsia.
Tutto è previsto in questo macabro rituale. In primo luogo la riservatezza. Nella stanza di Eluana, dove dovranno regnare «pulizia e decoro», «non si potrà accedere con apparecchi fotografici o telefonici» e i volontari che si alterneranno al suo capezzale hanno già dato l’assenso a essere perquisiti. «L’assistenza infermieristica sarà garantita nelle 24 ore», ma a prestarla non saranno più le suore della clinica Beato Talamonti di Lecco.
Si prevede «la somministrazione di sostanze idonee a eliminare l’eventuale disagio utilizzando prodotti come saliva artificiale, spray di soluzione fisiologica e gel». Al mattino e al pomeriggio un medico visiterà Eluana per «verificare l’eventuale modifica della terapia, qualora fosse insufficiente a evitare la comparsa di segni clinici di sofferenza». Cosa possibile ma non probabile, perché gli specialisti che hanno redatto il protocollo sono convinti che la giovane non senta più stimoli come fame, sete, dolore, i quali risiedono nella corteccia cerebrale danneggiata nell’incidente stradale che l’ha ridotta allo stato vegetativo permanente.
C’è la firma di papà Beppino in calce al protocollo. Ci sono quelle della curatrice speciale di Eluana Franca Alessio, dell’avvocato milanese Vittorio Angiolini e del collega udinese Giuseppe Campeis, nel cui studio l’atto è stato perfezionato.
Seguono i vertici della clinica Città di Udine e il deus ex machina dell’operazione, il dottor Amato De Monte, primario di anestesia e rianimazione all’ospedale Santa Maria della Misericordia, il medico che ha fatto da tramite fra la famiglia Englaro, la struttura sanitaria e i volontari.

Con De Monte appaiono le firme di altri due medici: il dottor Carlo Alberto Defanti, il neurologo di Bergamo che da anni ha in cura Eluana, e il professor Giandomenico Borasio, titolare della cattedra di medicina palliativa all’università di Monaco di Baviera, consulente dei vescovi tedeschi: in Germania, ha spiegato in una recente intervista a Repubblica, «le chiese cattolica e protestante hanno pubblicato congiuntamente nel 1999 un "testamento biologico cristiano" già utilizzato da tre milioni di persone». Chiudono le firme dei paramedici, che volontariamente e gratuitamente aiuteranno Eluana a morire.
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