Spiazza la sinistra, entra a gamba a tesa, teme la ripresa da mascellone stile duce, ti giura che la tuta addosso l'ha pagata 5 euro e ti trascina sulla Spezia by ripresa-lenta, che a casa ha lasciato, moglie, figlia e suocera, «antropologicamente meravigliose nel cucire storie». Gianluigi Burrafato candidato sindaco del centro destra («Forza Italia, AN, Lega, Udc e Pensionati, in cui non mi riconosco, ma da cui sono portato») coppola a ricordare il suo quarto siculo, getta l'esca di Cicerone. Tra il Brutus e il De Oratore infilza strade e angoli. Di corsa che se lo fermano chi gliela spunta più l'intervista. Guadagna metri, macchè, «Gianluigi!». Stretta di mano «ho saputo». Mostri il taccuino. «Un frizzantino?» Dobbiamo andare. Dicevamo di Cicerone. Già. Eloquenza da vendere.
«Oggi s'è perso il gusto della parola - sottolinea il candidato -. La penso come il Presidente Napolitano nei confronti dell'attuale situazione politica. C'è disincanto, sfiducia, diffidenza e disprezzo. La frattura va risanata col rapporto diretto». Parlare con la gente. E vai con l'Italia degli eufemismi. Burrafato allunga nelle sue strade. Annusa, mastica, si riprende l'abitudine a quella dimensione amministrativa mollata nel '92, «aut Caesar, aut nihil». Sindaco socialista dal '90 al '92, poi basta. La faccenda dell'Enel lo sbozza granitico, ma i suoi e la minoranza ci credono poco alle grandi battaglie. E lui sceglie Podenzana, l'azienda agricola della figlia, i maiali di cinta senese che Lorenzetti ritrae superbi e le mele Dop. Archeologo e filosofo, uomo di mare che cerca la terra per sentire la vita. Anni di riflessione. Anni di angoli smussati. Gli occhi mobilissimi a vedere prima. Lo stadio iniziato «che non hanno mai finito, voglio vedere quando arriva la Juve». Allora sindaco interventista e decisionista. Problemi? «Vai e risolvi. Oggi trasferiscono tutto alle commissioni pluraliste,democratiche, antifasciste che non risolvono un tubo». Gli dai del politico, «mi sento un amministrativo, la politica crea rappresentanti». Ci vuole un taglio nuovo: «Devi riconquistare la fiducia col rapporto umano diretto». Che il tessuto sociale è uno sfilacciarsi a perdere, «morti i valori. Tra 10 anni l'unico potere forte rimarrà il Vaticano». Tira dentro il Papa che s'è posto il problema di una vita che va avanti a cellulari e vacanze. «La storia è pendolare. Adesso tendiamo ad una polarità totalmente libertina, valori interscambiabili e relativismo». Arranchi dietro il filosofo, che il signor Giovanni lo ha già agguantato per le spalle: «Diamoci un colpo sennò Spezia muore». Figurati, non gli par vero a quello di raccontargli l'avaria del Castel Felice, carico di turisti americani, stesso tempo dell'Andrea Doria. Del rifugio alle Azzorre, della banchina d'attracco per le navi passeggeri che là non c'era. «Come alla Spezia ancora oggi non c'è». Burrafato annuisce, e fedele al «parla come mangi», intreccia commenti e butta lì concretezza. Strette di mano, e confidenza. Se tieni il centro te lo filano tutti. E che gli piaccia parlare te ne accorgi subito. Ha passato le vacanze di Natale a riallacciare rapporti. E la notte di San Silvestro centinaia le telefonate a mezzanotte e dintorni «così ero sicuro di trovare tutti».
Quindici anni in campagna a riflettere, a Podenzana, per 8 chilometri Toscana, «ma ho mantenuto la casa di fronte al Municipio della Spezia. Un mese fa la proposta del centro destra. Accetto. Ho ritenuto doveroso reimpegnarmi, con i miei successori la città è tornata indietro». Gli chiedi se ha aperto un point. Neanche ti guarda, «Perché? Devi girare, parlare. Abbiamo bisogno di tornare a sentirci. Lo tocco con mano ogni giorno». Si ferma per darti la dimensione, ma Lisa s'intromette. Gli stringe la mano. «Ci aiuti a tornare capoluogo». Burrafato aggancia il discorso, che il paragone è Sarzana, 20.000 abitanti, vivace e ben tenuta: «acchiappa i croceristi e se li porta nel suo centro storico, ad esempio. In città c'è l'orrore dell'abisso e il desiderio di rinascita. Non siamo alla canna del gas, è finito il gas». Cerchi di farlo parlare del programma, ma non si sbottona. «La risposta sta qui. Qui c'è la mia città, c'è la vecchia darsena, ci sono le grandi occasioni del futuro. Là le Cinque Terre, il modello da imitare». Galleggia quella sensibilità ambientale che lo portò allora in prima linea contro l'Enel, oggi, lontano dall'eccesso dei Verdi, a stringere sul potenziale-bellezza-paesaggio da sfruttare come risorsa. «È un complesso marittimo-forestale unico. Ci vuole fantasia e piedi per terra. È il sogno fondato sulla realtà». Ti scappa nel pensiero alto: tensione e utopia, ma «ci sono dati reali per realizzare l'utopia».
«Quando mi sono candidato ho pensato alla frase di Benedetto XVI gli angeli volano perché sanno sorridere. Il senso? Ci vuole forte ottimismo della volontà, mentre i miei antagonisti sanno solo fare frasi distillate dal sistema di partito». Ti scappa nella citazione shakespeariana: «Mercuzio tu parli di nulla», Toni sorride, gli piace come l'ha detta. Poi gli ricorda quando nel '90 portò i fiori sulla tomba della contessa di Castiglione a Parigi, «nostra concittadina».
Al cellulare il senatore Luigi Grillo, un saluto all'amico fraterno. Burrafato te lo passa: «Eravamo insieme alle elementari - ricorda Grillo -. Io vincevo le gare di matematica, lui eccelleva in italiano. Ci siamo ritrovati adolescenti nella gioventù studentesca, io mio occupavo di sport lui di teatro. Uomo di spessore e di gradimento trasversale, onesto, colto, indipendente. Un amico fraterno, che stimo moltissimo e sosterrò nella sua candidatura». Clic. Un altro po' di nettare. Arrivano altri. Strette di mano, «fai sul serio, Gianluigi!» e lui tira fuori il finale del Principe di Machiavelli, con i barbari da mettere in fuga, «La loro tesi è sempre una: se nella città non mutano le coordinate economiche, non mutano quelle sociali, non muta l'uomo , quindi l'egemonia politica è garantita.
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