Rappresenta l'Italia e l'italianità nel mondo, lui che ha sempre corso per formazioni forestiere, prima americane e adesso kazako-cinesi.
Alberto Bettiol è cittadino del mondo, alfiere e pioniere, perché simbolo di un team che sta cambiando pelle, portando nel ciclismo di serie A un marchio di biciclette asiatico, cinese per la precisione. X-Lab si chiamano le biciclette che adotterà l'Astana, che sulla maglia sarà affiancata dal marchio XdS Bike, il più grande produttore di biciclette cinesi, uno dei più grandi al mondo.
«Quando ho fatto visita in Cina alla loro unità produttiva di Xidesheg, sono rimasto sbalordito ci racconta Alberto Bettiol poco prima di partire per l'Australia -. Mi sono trovato in una città, non in una fabbrica. Non mi sembrava di essere finito in una unità produttiva, ma in un nuovo mondo, fatto solo di biciclette. Una strada lunga e infinita, che terminava all'interno di una immensa struttura: la XdS Bikes. Quest'anno festeggeranno i 30 anni di attività. Da sempre producono anche per conto terzi, da li escono le biciclette americane ed europee più belle del mondo».
Bettiol, si sente consapevole che lei è testimonial di un passaggio storico?
«Ne sono assolutamente consapevole e onorato. Quando ho accettato l'offerta dell'Astana sapevo che stavo firmando un contratto che mi portava oltre a quanto avevo visto e vissuto fino ad oggi. Non sono più un ragazzino, quella di quest'anno sarà la mia dodicesima stagione da professionista, ho sempre corso per formazioni americane (dalla Cannondale alla Bmc, per arrivare alla EF, ndr), ora vestirò il tricolore, per una formazione kazaka-cinese e di questo ne vado orgoglioso».
Ha anche pedalato in maglia tricolore con tanto di bandiera cinese.
«Un omaggio del team al nuovo sponsor».
Incomincerà dall'Australia.
«Il Tour Down Under mi piace troppo e non potevo non metterlo nel mio programma. Ripercorrerò in pratica il mio programma abituale, quello che più mi confà. Sarà un inizio classico, anche perché a febbraio preferisco correre piuttosto che fare ritiri in quota o allenamenti sfiancanti. Io conosco la cilindrata del mio motore e so come gestirlo».
E in Italia quali corse disputerà?
«Prima la Tirreno-Adriatico, poi la Sanremo».
La Sanremo sarebbe già un bel obiettivo
«Più che bello, un sogno. Ma è una corsa difficilissima da correre, perché folle, indecifrabile e imprevedibile».
Un po' come lei.
«Magari. Certo, io sono uno che va molto a sensazioni, mi affido tanto all'istinto e in una corsa come la Sanremo un po' di creatività aiuta, ma ci vuole tanta forza e tanto ci siamo capiti».
Sedere?
«Un pochino».
Obiettivo minimo?
«Spero, dopo la campagna del Nord, con il mio Fiandre (vinto nel 2019, ndr) da onorare, di poter rientrare nei piani della squadra per il Giro d'Italia. Se così fosse, potrei rinunciare a correre la Roubaix per prepararmi alla corsa rosa, che io adoro. Sarebbe bellissimo vincere una tappa con la maglia tricolore sulle spalle».
Lei è ancora uno che si affida molto all'istinto e molto poco alla tecnologia.
«Io li utilizzo nella fase di preparazione, ma quando c'è da correre mi spoglio di tutto e vado con la mia testa. Non voglio essere condizionato da uno smart watch che mi dice se ho dormito male. Se mi sento bene, faccio quello che mi sento di fare.
I numeri sono importanti, ma non sono tutto. Se il ciclismo di oggi piace è perché ci sono corridori autentici fuoriclasse che si lasciano andare, senza paura di sbagliare. La sconfitta è solo una possibilità, nulla di irrimediabile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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