Il Mondiale mai visto

Pogacar a Zurigo centra il tris Giro, Tour e maglia iridata come solo Merckx e Roche. Ma con una fuga di 100 chilometri già leggenda

Il Mondiale mai visto
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I suoi dirigenti, Mauro Gianetti e Andrea Agostini, team principal e direttore operativo della Uae Emirates spesso gli raccontano la storia del ciclismo e lui, Tadej Pogacar, da ragazzino sognante prende nota. In questi anni gli hanno raccontato di Merckx che ha vinto questo e quello, una volta due tre o quattro, la Sanremo persino sette volte. E poi le fughe da lontano e poi di Giro Tour e il mondiale vinto nello stesso anno e lui, il bimbo sloveno, che ha compiuto il 21 settembre scorso 26 anni, ha preso nota e anno dopo anno ha cominciato a stabilire record uno via l'altro ad una condizione: che non si facciano paragoni con Eddy Merckx, perché «io sono Tadej Pogacar, sono solo io».

Giro Tour e mondiale, ieri ha completato anche questa collezione riuscita nella storia del ciclismo solo al Cannibale e a Stephen Roche. L'ha fatto andando all'attacco a cento chilometri dalla fine e restando da solo negli ultimi cinquanta (51.500 per la precisione, ndr) dopo aver sbriciolato le ambizioni di tutti: da Remco Evenepoel a Mathieu Van der Poel. Così, dopo la doppietta Giro-Tour che mancava da Marco Pantani 1998 ecco la maglia arcobaleno.

Era l'uomo da battere, il faro, il punto di riferimento e l'osservato speciale, ma gli avversari lo intravvedono appena, prima di perderlo di vista. Non si accontenta del semplice successo, ma vuole scrivere e scrive l'ennesima pagina di storia, come suo stile. È fatto così Tadej: prende e va. Semina avversari e rivali. Quest'anno aveva già vinto la Liegi con 35 chilometri di fuga e la Strade Bianche con 81. «Non so cosa mi sia passato per la mente, ma non mi piaceva come si stava mettendo la corsa: qualcosa dovevo fare, per fortuna ho fatto la cosa giusta», la spiegazione del neo campione del mondo con il candore di un bimbo che ne ha combinata una delle sue. Mai la Slovenia aveva conquistato la maglia iridata. Oramai non è più una sorpresa, in questa stagione il piccolo Paese balcanico ha banchettato a quattro palmenti, prendendosi tutte le grandi corse a tappe (Giro e Tour con Pogacar, la Vuelta con Roglic) e ora l'iride. Per la cronaca. Sono solo due milioni di abitanti: altre nazioni ben più popolose farebbero bene a studiarne il modello. Se c'è un trionfatore, uno che vive la giornata della vita, dopo averne collezionate già da averne noia, c'è chi fa una figura barbina al cospetto di questo gigante sloveno. Il suo rivale designato, Remco Evenepoel, oro sia a crono che nella prova in linea a Parigi (Pogacar era a casa a godersi il terzo Tour) si lascia sfuggire sotto al naso Tadej, come se non sapesse con chi ha a che fare. «Quando l'ho visto andare via ho pensato che il suo fosse un tentativo da suicidio ha spiegato il fuoriclasse belga -. È stato eccezionale, l'unico che meritasse veramente di vincere. Quando ha attaccato siamo rimasti dietro e siamo riusciti ad avvicinarci solo un po'».

Quanto all'Italia, dopo aver messo con Mattia Cattaneo il naso nella fuga poi divorata da Pogacar e provato a stare dietro a Tadej con Andrea Bagioli, c'è poco da dire. Se fuoriclasse veri come Evenepoel e Van der Poel vengono presi dallo sloveno a pallonate, di cosa dovremmo rimproverarci noi?

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