Progredisce con passo spedito. Quegli altri sono attardati, cacciati nelle retrovie. Sfila verso le pendici del santuario di Oropa, votato al culto solenne della Madonna nera, con quella maglia rosa che ha strappato via di nuovo soltanto un giorno fa, approfittando degli impicci patiti da Laurent Jalabert. In classifica Marco Pantani ha messo via 53'' su Savoldelli e oltre un minuto su Gotti. Eppoi per lui quello è un pendio, più che una salita impervia. Pendenza media del 6,2%. Lungo nemmeno 12 km. Il pirata è pronto a trangugiarselo. Vuole piazzare i gomiti sul Giro d'Italia.
D'un tratto però una voce crepa quel placido 30 maggio 1999. "Attenzione, Pantani ha forato! Anzi no, è un problema meccanico". Adriano De Zan e Davide Cassani quasi non ci credono. E figurarsi lui, Marco, che si vede costretto a smontare rapidamente di bici per appurare il malanno. Che poi sarebbe un banalissimo guaio: la catena che si è sganciata. Ma pare comunque sufficiente per dissipare tutto il vantaggio acquisito. Sfila infatti il gruppo al suo fianco, mentre lui rammenda la questione con l'ausilio della moto shimano che prontamente lo soccorre. Quando risale in sella ha accumulato un ritardo di 45'' dagli altri e deve ripartire praticamente da fermo. Adesso è ai piedi del santuario, lungo un rettilineo che si infila tra i caseggiati tiepidi di Cossila San Grato e Cossila San Giovanni. Sì, potrebbe anche provare a riagganciarli.
Solo che Pantani ha in mente un'altra cosa. La modestia non fa parte delle sue marce. Accontentarsi è un verbo espunto da tempo dal suo vocabolario personale. Marco non vuole soltanto riprenderli. Intende superarli. Tutti quanti. Non è una decisione banale. Quest'ascesa appena iniziata sta per incidere la storia del ciclismo recente di un arabesco apprezzato raramente. Non si tratta di umana tracotanza. Il pirata sa che può abbordarli. Conosce le pieghe del suo corpo. Lascia che la voglia di farcela erompa. E inizia a risalire.
I compagni della Mercatone Uno intanto hanno rallentato per aspettarlo. Tra di loro c'è anche Garzelli, che vincerà il Giro l'anno seguente. Quando intravedono la sua sagoma iniziano a tirare a turno, per aprirgli una breccia. Fanno il lavoro sporco per il loro capitano. Da quel punto mancano meno di 10 km al santuario: la sola prospettiva mentale di quell'impresa appare irrealistica. Però la strategia pare funzionare. Pantani aggancia l'ultimo compagno che ha lanciato il ritmo, Marco Velo, e si stacca per dipingere la rimonta definitiva.
Quel che succede adesso, con Marco che spinge sui pedali come un forsennato, è sinceramente qualcosa di impensabile. Recupera gradualmente 40 secondi di distacco. Supera, ad uno ad uno, la bellezza di 49 corridori fuggiti via, sgretolandone le velleità. La sua irresistibile ascesa soggioga anche calibri come Ivan Gotti, Gilberto Simoni e Paolo Savoldelli.
Ormai Marco va talmente forte che inizia a credere di potersi riprendere la testa della corsa. Crepitano entusiasmo i telecronisti. Impazzisce il pubblico. Adesso scatta e va a riprendersi anche Jalabert. Sarebbe già abbastanza assurdo così, ma non gli basta. Si alza sui pedali e lo stacca a 3 km dall'arrivo, dandogli alla fine 20 secondi di distacco, raggranellati per la maggior parte nel tratto più duro della salita, il suo giardino di casa.
Pantani taglia il traguardo per primo, ma non solleva le braccia al cielo. Talmente in trance da non essersi nemmeno realizzato di aver vinto.
Gli ci vuole la festa che sgorga tutt'intorno per capire. Bisogna pizzicarsi la pelle per credere che sia vero. Una delle rimonte più intense di sempre. Nell'arcipelago emotivo costruito dalle imprese piratesche, probabilmente l'abbordaggio più bello.
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