«La Cina? Il peggio di liberismo comunismo e imperialismo»

Le sue analisi, sempre originali e taglienti, lo hanno reso uno degli intellettuali più brillanti e polemici di Francia. Mentre a Parigi i manifestanti bloccavano la fiaccola olimpica, Alain Finkielkraut era a Milano ospite dell’Università internazionale del Secondo Rinascimento, per presentare il suo saggio Che cos’è la Francia? (Spirali editore). Il Giornale lo ha intervistato per parlare di Cina e di identità in un’Europa che, proprio grazie al Tibet, riscopre l’impegno civile.
Come giudica le proteste di Parigi e di Londra?
«Legittime, anzi doverose. La situazione è davvero drammatica: tutti i grandi imperi dell’800 e del ’900 hanno fallito, mentre quello cinese è l’unico che vince».
Eppure c’è chi dice: protestare non serve, la Cina è troppo potente...
«Affinché un movimento nazionalista prevalga occorre che ci sia una ribellione interna con il sostegno dell’opinione pubblica nelle zone metropolitane. In Cina ciò è impossibile: la repressione in Tibet è feroce e nelle grandi città nessuno può dire niente. Proprio per questo spetta al mondo civilizzato protestare contro questa ingiustizia».
Allora bisogna boicottare i Giochi?
«Non necessariamente. Un conto sono i media e i cittadini che devono continuare a protestate, ma i governi occidentali sono in una posizione difficile: la Cina è un mercato enorme ed è la fabbrica del mondo; come fanno a boicottarla senza danneggiare le proprie economie? Devono trovare modi intelligenti per far pressione. Certo attribuire le Olimpiadi a Pechino è stato un errore, ma ora bisogna impedire che Pechino le trasformi in uno strumento di propaganda e di esaltazione del regime».
Ad esempio spingendo atleti e politici a disertare la cerimonia di apertura se Pechino non dialoga con il Dalai Lama?
«È una proposta interessante, che esce dalla logica del tutto o niente ed è credibile. Ma non mi faccio illusioni. La Cina ha conquistato Lhasa per questioni strategiche e ora deve scongiurare lo sfaldamento del Paese e dunque non cederà. Anzi, attraverso una politica di immigrazione forzata sta cambiando l’identità della regione, rendendo i tibetani una minoranza piccola ed emarginata. Sono sconvolto, è un altro triste primato di Pechino, che riesce a realizzare obiettivi mancati da altre grandi potenze storiche».
Dunque è una battaglia che va comunque combattuta...
«Certo, la Cina di oggi racchiude il peggio del comunismo, del liberismo, dell’imperialismo. Questa mobilitazione è importante per noi occidentali anche perché mette fine a un decennio di gretto antiamericanismo. Finalmente ci si rende conto che non sono solo gli Usa la fonte del male nel mondo».
Ma la sinistra ha stentato a mobilitarsi. Oggi la protesta pro Tibet è trasversale, ma all’inizio le sue voci non si sentivano. Come mai?
«La sinistra è stata presa in contropiede perché la rivolta di Lhasa ha fatto vacillare la sua rappresentazione del mondo; comunque ora è bene che faccia la sua parte».
Ma su altri temi le posizioni non cambiano, ad esempio la questione islamica...
«In Francia, a Notre-Dame-de-Lorette, sono appena state profanate le tombe dei veterani musulmani della prima guerra mondiale. Un fatto grave e inedito: le scritte di insulti erano in inglese, una lingua che uno xenofobo francese non avrebbe mai usato. I profanatori sono probabilmente gente sradicata e ignorante, ma ora tutti parleranno di islamofobia».
Già, ma come integrare i musulmani?
«Il premier turco Erdogan ha dichiarato in Germania che l’integrazione è un crimine contro tutta l’umanità.

Io dico che non si tratta di imporre i nostri costumi, ma di esigere il rispetto delle norme sancite dalle democrazie europee: parità tra uomo e donna, no alla sottomissione, no ai matrimoni forzati. Questi sono principi non negoziabili. Non è islamofobia "sottomettere" le popolazioni musulmane al rispetto dei diritti dell’uomo e far valere le regole della civiltà europea».
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