Bob Marley: One Love è il biopic in uscita il 22 Febbraio che celebra la vita e la musica dell’artista giamaicano. Nel titolo del film è presente quello della canzone che è divenuta non solo l’inno del reggae ma anche il veicolo iconico di un messaggio eterno, quello di unione e armonia.
L’opera del regista Reinaldo Marcus Green è prodotta in collaborazione con la famiglia Marley e ci mostra Bob (Kingsley Ben-Adir) già celebre nel suo paese d’origine ma non ancora esploso come fenomeno mondiale. La narrazione inizia con gli eventi che porteranno l’uomo all’auto-esilio dall’isola nativa, ovvero un attentato dal quale la sua compagna, Rita (Lashana Lynch), esce miracolosamente illesa. Marley ha già tre figli, li mette al riparo in America e vive anni europei in cui pone le basi per la registrazione dell’album discografico che, secondo Time, è il migliore del secolo scorso: “Exodus”.
Vediamo quindi scorrere sullo schermo tutto il periodo che ha contribuito a sviluppare e diffondere a livello planetario il reggae e, con quella musica, l’idea di unità, pace e amore universale di cui Marley si sentiva il veicolo.
Il film, che fa vari cenni all’infanzia dell’artista attraverso brevi flashback o tormentate visioni, lascia intuire il background familiare e i punti irrisolti da cui origina il tormento di Marley e che poi verrà trasceso in musica. C’è spazio anche per la messa in scena del rapporto dell’artista con i musicisti della sua band e per certe scorrettezze dell’ambiente; si accenna alle distrazioni femminili; ma soprattutto si cerca di identificare Bob Marley con l’idea che l’uomo aveva di se stesso, ovvero non quella di una rockstar ma di un rivoluzionario.
Avvicinato da ragazzo al credo rastafariano da quella che poi divenne sua moglie e convinto di tenere fede al significato del suo vero nome, Nesta, vale a dire “messaggero”, Bob Marley si sente un unto dal Signore ma questo non ne amplifica l’ego. A parte le frequentazioni sporadiche ai piani alti che per una star fanno parte del lavoro, lui non prova particolare attrattiva per il possesso materiale. La sua ambizione è unicamente cambiare il mondo grazie al contenuto spirituale della sua musica.
Bisogna ammettere che la durata del film si percepisce tutta e la gradevolezza dell’insieme è dovuta in buona parte alla bellezza del volto di Kingsley Ben-Adir, cui il regista non a caso fa infiniti primissimi piani.
L’attore è bravissimo nel trasmettere in alcuni momenti la presenza di uno stato alterato di coscienza, dovuto al fumo di erba, semplicemente attraverso lo sguardo un po’ meno lucido. Per il resto vediamo spesso il protagonista con una “sigaretta” in bocca ma la questione sostanze è affrontata in un solo punto, con una domanda da parte di una giornalista cui, però, non viene data risposta. Diciamo che il film dà un po’ troppo per scontato che lo spettatore sappia come, nel culto seguito da Bob Marley, la marijuana sia usata come erba meditativa, apportatrice di saggezza. Ma forse è meglio così, il rischio di creare simpatizzanti dello "sballo" sarebbe stato peggiore. Si insiste invece sul mostrare come la religione e la Bibbia siano parte attiva nella composizione dei brani in termini di ispirazione.
Il film sottolinea come Bob Marley fosse mosso da alti ideali: dedito alla lotta contro l'oppressione politica e razziale, riteneva la propria opera
un medium per traguardi più importanti di quelli prettamente artistici. Ancora oggi probabilmente lo lascerebbe indifferente essere definito un’icona o essere identificato col cliché del rasta dipendente dalla marijuana.
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