Carolina Cavalli e Pietro Castellitto sanno guardare gli errori della vita

Fra gli outsider assoluti, da seguire Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis

Carolina Cavalli e Pietro Castellitto sanno guardare gli errori della vita

Su quali nomi di registi diversamente giovani possiamo scommettere per un cinema italiano futuro se non proprio controcorrente, magari un po' meno prevedibile, con qualche auspicabile deriva inattesa, che sogni storie che fuoriescano dalle solite due camere ben arredate con la sempre modernissima cucina? L'impresa è ardua, anche se il panorama è abbastanza vasto. Ci sono i fratelli Damiano e Fabio D'Innocenzo a sorprenderci a ogni film che realizzano, ci sono quelli che lavorano con intelligenza sui generi cinematografici che danno maggiore libertà come Roberto De Feo, Paolo Strippoli, Fabio Resinaro, Fabio Guaglione, Cosimo Gomez, o come Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana che hanno molto giocato in una serie tv come The Bad Guy. Ci sono poi due outsider assoluti come Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis che, come in Re Granchio che ha girato i festival dei due mondi, continuano a lavorare sulla storia italiana di fine Ottocento preparando un western, proprio come Laura Samani che in un periodo simile ha ambientato Piccolo corpo sul viaggio, in direzione ostinata e contraria, di una mamma meravigliosa che vuole che la figlia, morta alla nascita, venga battezzata dalla Chiesa. Ci sono poi due esordi recenti su cui vale la pena soffermarsi. Si tratta della trentenne Carolina Cavalli che in Amanda, presentato nella sezione Orizzonti Extra dell'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, costruisce la storia di una bizzarra e respingente ragazza con la valigia tra ricchissime famiglie disfunzionali e un'amica fuori di testa chiusa nella sua stanzetta tutto il giorno. Ma - attenzione! - non è la solita tiritera contro la borghesia. La milanese Cavalli, anche sceneggiatrice, guarda ai coming of age fuori dai nostri confini e mette in scena un personaggio femminile perfido come se fosse una Pippi Calzelunghe cresciuta male in un mondo in cui i maschi sono ectoplasmi con il volto esangue del cantante Michele Bravi. L'altro esordio promettente, I predatori, porta il nome di Pietro Castellitto, trentunenne figlio d'arte ma con un'idea tutta sua di messa in scena e di narrazione politicamente scorretta e ideologicamente libera, tanto da inserire nei titoli di coda una canzone della band di riferimento di Casa Pound, gli ZetaZeroAlfa. Nel 2021 con I predatori ritrae due famiglie, una, diciamo così, borghese e di sinistra, i Pavone, e l'altra, ridiciamo così, proletaria e di destra, i Vismara. Castellitto sembra accanirsi proprio su quella radical chic in cui interpreta il figlio che fa l'assistente a Filosofia, mentre traspare una certa empatia con quella di destra (d'altro canto l'autore delle musiche, Niccolò Contessa alias la band I cani, non cantava dei pariolini di diciott'anni «animati da un generico quanto autentico fascismo»?).

Castellitto dunque peculiare voce di una generazione che chiede non ai genitori assenti, ma ai nonni (ricordiamo che quello del regista, Carlo, a cui il film è dedicato, è l'autore di A cercare la bella morte sulla sua militanza di repubblichino): «Perché il futuro fa più paura della morte?».

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