Presentato in anteprima mondiale alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia del 2015 e vincitore del premio Oscar al miglior film nel 2016, Il caso Spotlight torna ora in tv: appuntamento questa sera alle 21.15 sul canale La7. Diretto da Todd McCarthy, Il caso Spotlight racconta la vera indagine portata avanti dal Boston Globe nel 2002, incentrata sugli abusi sui minori e vincitrice poi del premio Pulitzer.
Il caso Spotlight, ecco la trama
Martin Baron (il Liev Schreiber ora su Netflix con la miniserie The Perfect Couple) è il nuovo direttore del Boston Globe. L'anno è il 2001 e il leader della testata accetta che la sua squadra di giornalisti investigativi si concentri su un caso terribile: le accuse di abusi sessuali compiuti da alcuni sacerdoti appartenenti alla diocesi di Boston. A far partire l'indagine sono le parole dell'avvocato Mitchell Garabedian (Stanley Tucci), che porta all'attenzione di Baron il fatto che l'arcivescovo di Boston fosse a conoscenza della presenza di un prete pedofilo e di non aver fatto nulla per denunciarlo o fermare le violenze. Tra i giornalisti che seguirono da vicino la vicenda e i racconti agghiaccianti delle vittime ci sono Walter Robison (il Michael Keaton di Beetlejuice Beetlejuice) e Michael Rezendes (Mark Ruffalo). Scoprire la verità, però, non è affatto facile come sembra, dal momento che la Chiesa è ben determinata a nascondere i propri peccati.
La vera storia alla base del film
Nonostante si prenda alcune licenze narrative per rendere più fruibile la storia al pubblico cinematografico, Il caso Spotlight è rimasto alquanto fedele agli eventi reali che hanno portato alla pubblicazione dell'articolo dal titolo Church Allowed Abuse By Priest for Years il 6 gennaio 2002 sul Boston Globe. I giornalisti investigativi della testata giornalistica di Boston iniziarono le loro ricerche nell'estate del 2001 quando emerse, come riporta Screenrant, che il Cardinale Bernard F. Law, Arcivescovo di Boston, era a conoscenza che un prete di nome John Geoghan fosse responsabile di abusi sessuali su minori e che non aveva fatto nulla per fermare un crimine tanto abietto. Man mano che le indagini proseguivano, inoltre, emerse che l'orrore degli abusi sui minorenni andava ben oltre John Geoghan e che almeno altri 13 prelati nella zona di Boston erano accusati di abusi simili.
A seguito della pubblicazione dell'indagine, il Cardinale Law fu costretto a dare le dimissioni dalla diocesi di Boston. Tuttavia la sua carriera era tutt'altro che finita: dal 2004 al 2011 venne infatti nominato arciprete della basilica papale di Santa Maria Maggiore a Roma, andando incontro a numerose polemiche da parte di coloro che avevano seguito il caso Spotlight e non riuscivano ad accettare una "promozione" per un uomo che, secondo l'idea di alcuni, non era stato in grado di difendere i suoi stessi fedeli. Un'idea a cui, come riportò l'Ansa, venne data voce alla morte di Law, avvenuta nel 2017, quando l'avvocato Mitchell Garabedian ricordò come Law avesse "voltato le spalle a creature innocenti e ha permesso che fossero abusate sessualmente." Grazie alla collaborazione con l'ex prete Richard Sipe - che divenne un consulente dei giornalisti - la squadra del Boston Globe apprese che secondo gli studi del religioso, circa il 6% dei preti era responsabile di abusi sessuali. Una percentuale che, in relazione alla popolazione di Boston, faceva salire il numero dei presunti pedofili a 90.
L'indagine del Boston Globe, naturalmente, portò alla diffusione di altri articoli e approfondimenti. In particolare, uno studio riportato dal sito dell'Internet Movie Data Base, venne reso pubblico nel maggio del 2003, pochi mesi dopo le dimissioni di Law. In questa nuova analisi svolta da un prete svizzero emerse che il 50% del clero veniva meno al proprio voto di castità, stringendo rapporti sentimentali e sessuali con amanti. Secondo Victor Kotze, un sociologo sudafricano che "studiò" il clero del suo paese, il 45% dei preti erano sessualmente attivi. Tra i religiosi "sorvegliati", il 43% aveva rapporti con donne adulte, il 21% con uomini adulti, il 14% con ragazzi minorenni e il 12% con ragazze minorenni. Questo vuol dire che il 26% dei preti "studiati" abusava di giovani al di sotto dell'età del consenso. Tuttavia questi numeri non vennero mai contestati o provati, perciò lo studio di Kotze attirò soprattutto critiche. Tuttavia anche Pepe Rodríguez, storico delle religioni, asserì, come riporta il The Sydney Morning Herald, che il 60% dei preti spagnoli da lui osservati era sessualmente attivo, il che lo ha portato a concludere che solo il 50% dei componenti del clero rispettavano del tutto il voto di castità.
Sempre Screenrant riporta, infine, come Il caso Spotlight non abbia incontrato favore unanime. Per il New York Times il film forniva una "rappresentazione errata di come la Chiesa gestisce i casi di abusi sessuali", mentre Jack Dunn, che all'epoca dei fatti si trovava alla guida del Boston College High School, accusò il film di mancata accuratezza e fece causa per diffamazione, dal momento che era stato rappresentato come un uomo totalmente indifferente agli scandali legati agli abusi. Più sorprendente, forse, è la posizione della Chiesa Cattolica, che in nessuna occasione e in nessun momento chiese ai propri fedeli di boicottare o di non vedere il film. Il cardinale Sean P. O'Malley, che "ereditò" la posizione di Law, ammise che la visione del film riportava a galla il peso di "un periodo particolarmente doloroso" che però aveva permesso alla Chiesa "di scendere a patti con ciò che c'era di vergognoso e nascosto".
Dai dati riportati da Il Post, emerge che nel 2003 l'arcidiocesi di Boston pagò circa 85 milioni di dollari come risarcimento alle vittime degli abusi, pubblicando poi sul proprio sito la lista dei 159 preti accusati di abusi sessuali minorili.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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