Detroit, la storia vera della rivolta che ha quasi distrutto la città

Detroit è un film duro che racconta con dovizia di particolari una delle pagini più violente della storia degli Stati Uniti

Detroit, la storia vera della rivolta che ha quasi distrutto la città

Nell'estate del 1967 la città di Detroit visse una delle pagine più feroci e violente della sua storia, portando a quaranta morti e un numero esorbitante di feriti. Gli scontri tra la polizia e alcuni cittadini afroamericani portò a una serie di rappresaglie e scontri che si svilupparono in varie parti della città, come microcellule di un quadro più ampio. Detroit, il film di Kathryn Bigelow che va in onda questa sera alle 23.00 su Rai 5, racconta proprio questi giorni di terrore. La macchina da presa della regista, però, si sofferma soprattutto su uno dei tanti episodi di sangue di quell'estate: ciò che è accaduto al Motel Algiers.

Detroit, la trama

Larry Reed (Algee Smith) è un ragazzo afroamericano che sogna di poter vivere solo grazie al suo talento per la musica. Proprio quando sembra arrivare il momento del suo debutto che potrebbe cambiare le sorti della sua vita, a Detroit scoppia l'inferno. Nella speranza di tenersi lontano dalla rivolta e di non incappare in poliziotti dal grilletto facile, Larry decide di "rintanarsi" nel Motel Algiers insieme all'amico Fred Temple (Jacob Latimore) e a due ragazze bianche. La serata, tutto sommato, sembra procedere in modo tranquillo e piacevole. Tuttavia, un colpo esploso dall'hotel, attira l'attenzione del poliziotto Philip Krauss (Will Poulter), un uomo ubriaco del proprio potere, profondamente razzista, con una vena sadica che lo trasforma ben presto nel peggior incubo dei ragazzi del motel.

La vera storia dietro il film

Quarantatré morti, strade barricate come nella più canonica delle rivoluzioni: centinaia di feriti, edifici divorati dalle fiamme e l'eco lontana delle sirene della polizia che riempiono l'aria torrida dell'estate del 1967. Questo è lo scenario che gli abitanti di Detroit hanno visto o avvertito sulla propria pelle per cinque giorni, mentre la città viveva una delle rivolte più feroci non solo della sua storia, ma anche di quella di tutti gli Stati Uniti. Oggi, in cui il movimento Black Lives Matter ha fatto sentire la sua voce, la storia dei disordini di Detroit appare ancora più radicata in una cultura statunitense che punta alla divisione tra polizia e cittadini, soprattutto quando si ha a che fare con le minoranze. Ed è proprio questa crepa, secondo quando scrive History, ad essere alla base dei disordini. In quegli anni la maggior parte dei cittadini afroamericani della città di Detroit viveva nel quartiere denominato Virginia Park: si trattava di un piccolo appezzamento di terra che non sembrava in grado di ospitare tutti i suoi abitanti, che spesso erano "costretti" a vivere in condizioni tutt'altro che ottimali, in case troppo piccole che spesso venivano divise per ottenere più nuclei abitativi. Inoltre nell'aria c'era il sentore che la polizia non avrebbe garantito il benessere dei cittadini di questa parte della città: proprio perché a maggioranza bianca, le forze dell'ordine venivano percepite come un ostacolo invece che come un aiuto e la tensione razziale tra questi due poli cresceva giorno dopo giorno. Un'escalation che forse era sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno ha fatto in modo di fermare prima che la miccia della scontentezza divampasse incontrollata.

L'elemento scatenante della rivolta fu l'irruzione della polizia in un quartiere noto per la sua vita notturna. Tra i party che stavano avendo luogo la notte del 23 luglio 1967 ce n'era anche uno che aveva solo lo scopo di festeggiare i ragazzi che erano tornati dal Vietnam. Quando la polizia cominciò ad arrestare le persone, intorno alle quattro del mattino, l'operazione finì con l'attirare l'attenzione di coloro che erano ancora in strada, usciti fuori dai locali che non volevano utilizzare l'aria condizionata. Ben presto la sfilata di cittadini afroamericani arrestati fece scattare la rabbia dei presenti. Vennero lanciate bottiglie contro la polizia, venne mobilitata la guardia nazionale e per le 7 del mattino anche i negozi cominciarono ad essere presi di mira. La città venne travolta dalla rabbia di cittadini che credevano di essere rimasti in silenzio troppo a lungo davanti a molti soprusi. Come si legge su Library of Congress, gli scontri ebbero come epicentro la trentesima strada, dove si trovava anche il negozio di Rosa Parks, la donna che viene riconosciuta come una delle "madri" del movimento per i diritti civili, dopo che si rifiutò di cedere il suo posto sull'autobus a un cittadino caucasico. Come lei, altre 5000 persone persero tutto, tra casa e negozi. Come si legge anche sul Detroit News, il Motel Algiers fu al centro di uno dei momenti più violenti, che metteva in luce l'abuso di potere dei poliziotti. Il Motel era già noto alle forze dell'ordine per essere un ricettacolo della piccola criminalità: perciò quando durante i disordini venne udito uno sparo provenire da una delle finestre della struttura, le forze dell'ordine pensarono a un cecchino appostato proprio per uccidere poliziotti. All'interno del motel, però, non si svolsero indagini regolari: tre ragazzi afroamericani vennero uccisi, uno a causa delle percosse ricevute da un fucile non in dotazione della polizia. Le ragazze bianche vennero costrette a denudarsi e furono umiliate davanti a tutti. Gli ospiti dell'hotel vennero divisi, minacciati e in parte torturati. L'orrore, però, non finisce qui.

I poliziotti, che lasciarono la struttura solo quando sentirono altri spari provenire da fuori, non fecero alcun rapporto su quanto avvenuto. Fu l'addetto alla pulizia dell'hotel a scoprire i corpi dei tre ragazzi uccisi, il giorno dopo.

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