Come per disincanto, il seguito dell’iconico film d’animazione “Come d’Incanto” del 2007 da cui scaturì l’ascesa professionale di Amy Adams, è uscito direttamente in streaming su Disney Plus.
Il film continua nel solco dell’umanizzazione e parodia di tutto ciò che la gente ama delle fiabe, ma non ha mai la scintilla del primo. Laddove l’altro era stravagante e originale nel sovvertire i topoi della tradizione disneyana, questo appare fedele al cliché cinematografico della maledizione dei sequel.
Sono trascorsi quindici anni dall’incontro tra Giselle (Amy Adams) e Robert (Patrick Dempsey). I due sono sposati e hanno allargato la famiglia mettendo al mondo la piccola Sofia, mentre Morgan (Gabriella Baldacchino), la figlia di lui, è ora un’adolescente. Il lieto fine tanto agognato però nasconde un seguito, soprattutto se vissuto nel mondo reale, e così Giselle si rende conto di come abitare a New York, per una creatura delle fiabe ma non solo, sia davvero faticoso. Convince allora i familiari a trasferirsi fuori dalla metropoli, in una cittadina suburbana chiamata Monroeville. La nuova vita costringe Robert ad alzarsi alle cinque del mattino per andare al lavoro e Morgan a frequentare una nuova scuola in cui non ha ancora amici. Come se non bastasse, Giselle si sente a disagio in presenza di quella che è l’ape regina locale, Malvina Monroe (Maya Rudolph). Delusa per il rovescio della medaglia di quello che sembrava un cambiamento pieno di promesse, Giselle finisce col brandire la potente bacchetta portata in dono a Sofia dal principe Edward e Nancy (ancora una volta interpretati da James Marsden e Idina Menzel) e col pronunciare il desiderio di una vita da favola. A questo punto cominciano i guai veri.
Il delizioso, intelligente e divertente “Come d'incanto” di Kevin Lima era una commedia romantica travestita da film fantastico: un’opera mista che sapeva ibridare con equilibrio e brio il live action, il cartoon e il musical. Non stupisce sia diventato un piccolo cult, del resto è stato il primo film Disney in cui la casa di Topolino ha iniziato a riflettere (con somma autoironia) sugli stereotipi inculcati fino ad allora a generazioni di bambini. Da lì ha preso avvio un nuovo modo di caratterizzare le principesse, con “Rapunzel” (2010), “Brave” (2012) e “Frozen (2013).
Ciò detto, il seguito, “Come per disincanto”, a così tanta distanza di tempo, difficilmente avrebbe potuto sovvertire la figura della nostra amata Giselle più di quanto già faccia, sdoppiandone cioè il personaggio anche in una versione malefica. Al centro della storia non ci sono più il bacio del vero amore e altre utopie immortali, bensì il ben più realistico rapporto travagliato tra madre e figlia, o per meglio dire tra matrigna e figliastra.
Si ha un sussulto quando Giselle intona il suo richiamo melodioso agli amici animaletti e loro rispondono col celebre eco delle stesse note, ma inutile aspettarsi altri tuffi al cuore. Nessuna scena memorabile dietro l’angolo. “Come per disincanto” procede per accumulo di citazioni ma anche di archetipi, esplorando in particolare quello della matrigna, villain crudele e vanitosa nelle fiabe e inedita figura materna nelle odierne famiglie allargate.
La Adams è al solito impareggiabile: canta, danza e sorride quando è nei panni della dolce e amorevole Giselle, incarnando un’ingenuità aggraziata e disarmante, ma è perfetta anche nella versione opposta del personaggio, quella emersa a causa di un incantesimo, occasione per l’attrice di sfoggiare grande espressività e mestiere. Quanto al sempre affascinante Patrick Dempsey, stavolta nei panni di Robert è poco più di una comparsa.
Anche se la regia è passata a Adam Shankman, esperto di musical, ad una prima visione non pare che i numeri musicali siano eccezionali e destinati a essere ricordati: i brani sono piacevoli e orecchiabili, ma i testi e le coreografie poco coinvolgenti.
“Come per disincanto” è una divertente indagine circa il significato reale del celebre “e vissero felici e contenti” e non ha solo il pregio di invitare a trovare la magia nel quotidiano, nelle piccole cose della vita, ma soprattutto di mettere in guardia circa i pericoli del sogno laddove questo diventi una via di fuga.
Fin dall’inizio del film sappiamo che rivivere le stesse emozioni destate dall’originale è impossibile, non fosse altro per come siamo cambiati noi stessi spettatori nel frattempo.
Resta però la piacevole prospettiva di guardare qualcosa di familiare e magari di divertirsi con i propri cari nel riconoscere i vari e numerosissimi riferimenti ad altre fiabe e ad altri film.Di sicuro, che l’opera odierna piaccia o meno, viene voglia di rivedere “Come d’incanto”, una certezza in termini di evasione toccasana.
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