
Sui campanili cattolici e protestanti e sul tetto dei templi buddisti sventolano bandiere bianche con i cinque cerchi delle Olimpiadi.
Religione e sport si sono sposati in omaggio alle superiori ragioni dell'economia. Ma qui non è un sacrilegio porre sullo stesso piano spirito e corpo: nelle chiese, accanto all'acquasantiera due porte affiancate che recano immagini poco sacre raffiguranti un uomo e una donna in stile grafico da autogrill; sono usci che introducono alle toilette, maschile e femminile. La carne e le sue esigenze non sono meschine: parola di Confucio, i cui insegnamenti millenari sopravvivono al catechismo. E così nessuno rinuncia a far festa, per quanto il tempo a disposizione del coreano medio per festeggiare sia scarso: egli lavora dieci-dodici ore al giorno e non ha la settimana corta; per divertirsi gli rimangono la sera e la domenica. Ogni minuto non sfruttato è perduto: ovvio che il popolo abbia l'ansia di non sprecare la più piccola occasione ludica e sia meno rilassato quando riposa che non quando sgobba.
Alle 19 del dì feriale scatta la libera uscita. Chi guadagna di più, a prescindere dal proprio stato civile, di solito si abbandona a un hobby praticato anche dagli occidentali, ma che da queste parti si esercita in maniera molto più complicata: il ristorante.
Direte: che razza di hobby è sedersi a un tavolo e abbuffarsi. Senza trascurare che pure da noi ogni serata mondana se non finisce in party finisce in trattoria, occorre sapere che le osterie a Seul non vengono valutate dalla guida Michelin in base alla qualità dei piatti forti e dei contorni, ma esclusivamente dal servizio. Che per l'ignaro europeo merita una rapida descrizione, letta la quale egli probabilmente giustificherà l'eccessivo amore degli orientali per le attività di taverna.
Il cliente non appena si è accomodato sulla poltroncina si giova dell'assistenza oltre che di un banale cameriere, di una signorina - di norma avvenente nel suo genere asiatico che. tanto per metterlo a suo agio gli toglie le scarpe e provvede anche in segno di totale sottomissione a fargli un bel pediluvio. Intanto il commensale dà un'occhiata al menu sorseggiando l'aperitivo.
Sgombrato il campo da catini, saponette e altri attrezzi necessari alla rituale lavanda, entra in scena il cibo. E poiché la masticazione è già abbastanza impegnativa per consentire ulteriori sforzi a chi vi si dedica, ecco che l'ancella lo imbocca come un bambino, incoraggiandolo a mangiare con tenere esortazioni, miagolii, buffetti. Inutile aggiungere, forse, che gli versa da bere e gli porge il bicchiere, difatti, in Corea, l'etichetta vieta a chiunque di mescere per sé.
Sintetizzando, dopo il ruttino, l'avventore ha diritto a un digestivo tanto particolare da costituire la principale differenza fra la cucina locale e quella mediterranea, ingiustamente rinomata.
Non si tratta di un amaro sia pure migliore del «18 Isolabella», ma di un massaggio. E anche qui bisogna fare una precisazione: non una cosa fisioterapeutica alla Club Conti, ma un'applicazione di quell'arte che spinge l'utente ad essere affettuoso, e anche di più, con l'artista in questione. Conto finale, circa 50mila won, 100mila lire.
Le «entraineuses» tuttofare che militano a Seul sono pressappoco 100mila su 10 milioni e rotti di abitanti: un esercito imponente che copre il fabbisogno di ogni ceto sociale. Cambiano l'età e l'estetica delle operatrici nonché il livello del bistrot, ma le operazioni sono all'incirca sempre le stesse.
La donna-cosa I giovanotti non hanno gusti e opportunità molto diversi dai coetanei di Milano, Londra o Parigi. Vanno in discoteca esattamente come loro ma ai bordi della pista, nelle zone risparmiate dai lampi psichedelici, le operazioni cui danno luogo sono originali.
Ho visitato una delle balere più frequentate, la «Radio City» nel rione Itae Won (quello dove si vendono le imitazioni di prodotti di grande marca, Rolex, Vuitton e Trussardi a cataste per qualche spicciolo) e ho assistito a spettacoli che farebbero svenire le nostre femministe e che sono la dimostrazione di come quaggiù, con tutta l'evoluzione tecnologica e commerciale del Paese, la donna oggetto è una realtà consolidata. Anzi, è solo una cosa, un optional, una guarnizione dell'uomo, il quale se non se la porta appresso al guinzaglio è perché sa che non scappa.
Sono le 22 quando entro nel salone che odora di tabacco, sudore e gelsomino, il disc-jockey sbraita quanto i suoi colleghi di Rimini, l'altoparlante eleva al massimo dei decibel la voce piagnucolosa di Paul Anka: «You are my destiny». In pedana si dannano, in un groviglio fluorescente, centinaia di teenager. Sarebbe una scena ordinaria se non fosse che nel mucchio prevalgono ragazze che danzano tra loro sotto gli occhi avidi di pretendenti sprofondati in poltrona e dall'aria di mediatori in procinto di scegliere capi di bestiame. La scelta in effetti avviene, e con modalità che escludono ogni forma di galanteria.
Terminato il disco, le candidate si accucciano su sofà attorno a tavolini imbanditi e si asciugano la fronte con Kleenex che abbandonano stropicciati sul ripiano, al centro del quale troneggia un ricco vassoio: anguria, pesche, mele, uva, birra, Coca Cola, vino di riso. Aspettano pazientemente il bacio della fortuna, cioè del cavaliere.
Un'adolescente che mi è abbastanza vicina attende con la testa reclinata sulla spalliera, accarezza distrattamente un lumino rosso di foggia funeraria e ne fissa la fiammella come per leggervi le intenzioni della sorte. Sorte grama. Un «descamisado» le si accosta esaminandola dalla testa alla punta delle scarpe, poi le siede accanto. Lei si volta, non gradisce.
Italiani d'Asia Ma il corteggiatore non fa una piega, le offre una sigaretta. Rifiuto. Prova con un acino. Neanche quello la ammorbidisce. E allora il fusto adotta un sistema più risoluto: la afferra per la mano con l'intento di trascinarla sulla piattaforma bombardata da altre note, quelle della «Bamba». La fanciulla fa ancora qualche capriccio, ma non resiste a lungo: si alza e segue docile il cacciatore. E lo seguirà tutta sera, perché in Corea all'uomo non si dice mai «no».
È una regola che non vige esclusivamente nelle discoteche, ma anche nelle famiglie borghesi o proletarie, che siano. Il sesso debole qui è debolissimo, così fragile che non conta niente. Nei ristoranti di lusso, che sono situati nei grandi alberghi, il cameriere non dà nemmeno il bicchiere del vino alle signore, a meno che non siano i loro accompagnatori a farne specifica richiesta. L'arrivo degli stranieri (che è un fatto nuovo per una capitale isolata da secoli) in questo senso ha gettato nello sgomento gli indigeni, che non riescono a capacitarsi come sia possibile che nel mondo cosiddetto civile vi sia gente che considera persone le mogli, le fidanzate e le avventizie.
Si dice che i coreani ambiscano ad essere gli italiani dell'Asia; e i cittadini di Seul vogliono diventare i napoletani della Corea. Sono sulla buona strada. Hanno aperto pizzerie in ogni quartiere, cominciano ad essere spaghetti-dipendenti, il Lotte World Hotel ha tappezzato la cafeteria Peninsula (e il riferimento è proprio al nostro stivale) di paesaggi fiorentini, foto di gondole, Vesuvi e affini; abbondano le insegne luminose dai nomi a noi familiari: boutique Marzo, La Pisana, hotel Nostalgia, bar Parabola, caffè Fontana. E nelle vetrine è un trionfo di griffe nostrane, note e sconosciute: cravatte Cividini, borse Pinco Pallino.
La vita notturna crea nella metropoli un bazar sconfinato; i grandi magazzini, i negozi di ogni tipo, perfino i fruttivendoli, abbassano la saracinesca all'alba. A mezzanotte, nel centro non si circola: per il traffico, ma soprattutto per le bancarelle e la fiumana di folla, che lavorando fin tardi si svaga facendo acquisti anche nelle ore piccole.
Nei vicoli e nel corso di Itae Won decine di orchestre e bande ambulanti, uomini accovacciati che conversano in circolo, bambini che schizzano fra migliaia di gambe adulte, venditori di gioielli falsi accanto a venditori di scatole usate, mercanzie e cianfrusaglia buttate su carretti, friggitorie e camioncini carichi di jeans, giubbotti di pelle, scarpe assurde. Un vortice di umanità che cerca disperatamente di svagarsi: sciurette che indossano copie mal riuscite di Valentino, Krizia e Armani; adolescenti piantati nelle Reebok; signori in completo blu o grigio taglio Facis; qualche straccione, ma raro.
È scoppiato il benessere e la gente se n'è inebriata e si dà un tono giapponese anche se non ha perduto le abitudini della recente miseria: i tassisti guidano in guanti bianchi, ma al semaforo rosso scendono dall'auto per stirarsi rumorosamente; a tavola, anche chi si impone il bon ton, non si trattiene dall'armeggiare con lo stuzzicadenti; per strada si assiste a disinvolte e impressionanti espettorazioni: molti
maitres raccolgono le ordinazioni devotamente in ginocchio e talvolta ti confortano con pacche sulla schiena.Ma non esageriamo: tra due anni, in Italia, ci saranno i Mondiali di calcio. Magari qualcuno scriverà così di noi.
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