“Era ora”: Edoardo Leo in un dramedy sulla fugacità del presente

Un film che, malgrado una narrazione giocoforza ripetitiva, coinvolge e mette alle corde, portando a riflettere su come sia facile perdere di vista cosa conti davvero

“Era ora”: Edoardo Leo in un dramedy sulla fugacità del presente

Era ora”, il film di Alessandro Aronadio appena uscito su Netflix, sta avendo il successo che merita. Si tratta di una commedia che rivisita in modo semplice ma originale l’abusatissimo schema narrativo del loop temporale e che, grazie a una bilanciata combinazione di venature drammatiche e sfumature fantasy, porge una riflessione sul concetto di tempo, sul valore dei legami e sul peso emotivo delle occasioni perdute.

Dante (Edoardo Leo) è impiegato in una compagnia di assicurazioni e convive con Alice (Barbara Ronchi), un’artista conosciuta per caso a una festa di Capodanno. I due passano la giornata a velocità diverse: tanto lei presta attenzione e cura al quotidiano di coppia, tanto lui è focalizzato sul lavoro, convinto che i sacrifici di oggi saranno ripagati dal potersi comprare addirittura il tempo un domani. La sera del suo quarantesimo compleanno, Dante viene accolto con una festa a sorpresa organizzata da Alice ma il mattino seguente, come per sortilegio, si trova a vivere esattamente il giorno del successivo compleanno. Ha saltato gli altri trecentosessantaquattro giorni e così farà l'indomani, trovandosi di compleanno in compleanno.

La sua incapacità di gestire lo scorrere del tempo si è tramutata in un incubo vero e proprio, ovvero un’accelerazione del proprio vissuto a colpi di enormi ellissi.

L’incomunicabilità progressiva con Alice ha portato a incomprensioni e la relazione è in crisi. Dante scopre di aver sprecato anni a rincorrere gratifiche professionali perdendo di vista le persone importanti della vita. Rischia di trovarsi in un lampo da solo e vecchio, in compagnia di mille rimpianti.

Ci sono anche altri scenari, le condizioni del padre (Massimo Wertmüller) malato di Alzheimer, l’amicizia con Valerio (Mario Sgueglia), così come ci sono particolari toccanti, disseminati qua e là, come il bel ritratto di Dante realizzato con i timbri e intitolato “Tutti i giorni che ti ho aspettato”, ma anche piccole risate come quella sull’impronunciabile nome di battesimo della figlioletta.

La narrazione procede a cavallo tra la massima di John Lennon, “la vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti”, e il monito del Dalay Lama “ci sono solo due giorni in cui non si può fare niente, uno si chiama oggi e l’altro si chiama domani”.

Edoardo Leo, qui credibile come non mai, sa rendere a meraviglia il vissuto interiore di un uomo che commette l’errore più comune al mondo: pensare che ci sarà sempre tempo per essere felici. Da spettatori vediamo il protagonista ritrovarsi a rimpiangere il non vissuto (i primi passi della figlia, un giro sulle montagne russe con migliore amico o una colazione fatta lentamente), perché c’erano cose apparentemente più importanti da fare.

Facilissimo rispecchiarsi, visto che siamo parte di una società in cui sempre più si baratta il presente in cambio di un ipotetico futuro tranquillo, oppure si è distratti dal raggiungimento di vantaggi materiali cui associamo erroneamente il nostro valore personale.

Ispirato all’australiano Come se non ci fosse un domani di Josh Lawson, Era ora sa far male perché è uno scomodo specchio in cui si riconosceranno tutti coloro che sono così assorti nel perseguire progetti futuri da dimenticare di assaporare il presente. Perdere il contatto con ciò che è importante è facilissimo e capirlo troppo tardi è purtroppo molto comune. Il film sottolinea senza retorica ma con delicatezza e intelligenza come nella vita prendersi il tempo di “fare niente” con le persone che ami sia tutto.

Un po’ “Ricomincio da capo” e un po’ dickensiano “Canto di Natale”, “Era ora” ci mette di fronte a qualcosa di ovvio ma

che troppo spesso dimentichiamo: la vita scivola tra le dita, il tempo non torna e sarà bene capire in fretta quale sia l’autentico significato dell’esistenza.

Un film che andrebbe visto una volta all’anno.

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