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Alla ricerca del cinema di qualità perduto (che non piace a Lagioia: non è di sinistra)

Una pellicola-gioiello su Proust, Visconti e l'intellighenzia ideologizzata degli anni Settanta

Alla ricerca del cinema di qualità perduto (che non piace a Lagioia: non è di sinistra)
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Interno giorno. Campagna romana. Una villa d'epoca, nobile e decadente. Ticchettio della macchina per scrivere. Domanda: è possibile trasformare in film À la recherche du temps perdu di Marcel Proust? Risposta: no. Ci hanno provato Fellini e Flaiano. Visconti e Suso Cecchi d'Amico. Anche Harold Pinter e Joseph Losey. Mai fatto nulla. La Recherche è destinata a rimanere di carta. Però si può fare un film sul sogno di portare al cinema il romanzo-monumento di Proust. È quello che fa Giulio Base, che ha scritto (con Paolo Fosso), diretto e interpretato il film À la Recherche, ora in sala. Un caso cinematografico e politico.

Girato tutto in interni, una forma ibrida fra cinema e teatro, dialoghi fulminei e passioni travolgenti, recitato in francese (Félicitations, Giulio), è ambientato nel 1974, mentre a Cannes vince La conversazione di Coppola e in Italia i terroristi sparano nelle strade, e racconta una storia «a due». Quella di un'aristocratica francese, Ariane (Anne Parillaud, e il tempo dei giorni di Nikita è perduto e ritrovato), intellò, snob, tutta gauche e bottes; e di uno sceneggiatore italiano di mezzo tacca, Pietro (Giulio Base), che ha dilapidato talento e talenti, traccheggia nel basso - tra filmetti di serie Z - ma con l'ambizione di salire in alto, e vagheggia il cinema d'autore (e anche il vero Giulio Base è passato dalle puntate di Don Matteo a film d'essai come Il banchiere anarchico). Insieme - lei che ebbe una storia con Luchino Visconti e lui che conosce perfettamente il francese - devono scrivere un adattamento della Recherche da fare avere al Maestro, il regista-conte, e convincerlo dell'impresa: portarlo sul grande schermo. «L'arte per gli aristocratici è un passatempo» (si riferisce a Visconti o alla bella Ariane?). Ma per gli scrittori che devono fare i conti col frigorifero vuoto, una necessità. In mezzo, fra alti ideali e pragmatiche verità («In Italia se non voti il Pci non ti fanno fare cinema») scorre À la Recherche.

Piani sequenza, battibecchi, proclami, pettegolezzi (sì, è vero: Visconti girò fra i poverissimi La terra trema, ma poi assoldò il protagonista come maggiordomo), minigonne, borselli e camicie optical, lui che legge il Giornale nuovo e lei che dice «Montanelli è un fascista!» e la circolarità del Tempo. Ogni mattina la Fiat 127 di Giulio entra dal cancello della villa da cui è appena uscita, la sera prima... Per noi, un grande film. Che ironizza con leggerezza sulla dittatura culturale di certa sinistra. Ah, un'ultima cosa.

Due giorni fa Nicola Lagioia, a proposito dell'egemonia perduta di quella stessa sinistra e della nomina di Giulio Base a direttore del «Torino film festival», ha detto che non si diventa registi come Marco Bellocchio per decreto. Allora ci siamo rivisti gli ultimi due film del maestro, che grondano ancora ideologia, e abbiamo pensato: «Per fortuna». Esterno notte.

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