The Watchers - Loro ti guardano, l’esordio al lungometraggio di Ishana Night Shyamalan, figlia del più noto M. Night, è un horror acerbo e smaccatamente derivativo ma che riesce a tenere desta l’attenzione dello spettatore e intrattiene a dovere.
Prodotto dallo stesso Shyamalan e liberamente tratto dal romanzo omonimo di A. M. Shine, il film è un assemblaggio di archetipi della fiaba e del cinema del terrore, ma anche una riflessione sui demoni interiori dell’essere umano.
Mina (Dakota Fanning) è una giovane donna inquieta e insoddisfatta che lavora in un negozio di animali. La ragazza ha una sorella di nome Lucy con cui ha tagliato i ponti dal decesso della madre, avvenuto quindici anni prima. Durante un viaggio in auto per consegnare un pappagallo, Mina resta bloccata in una foresta dell’Irlanda Occidentale. Prima che faccia notte trova riparo in un’isolata dimora abitata dalla matura Madeleine (Olwen Fouéré) e da due ragazzi, Ciara (Georgina Campbell) e Daniel (Oliver Fannigan). Sono loro a rivelare alla nuova arrivata quel che lei già sospetta: lasciare la foresta è impossibile. Ci sono poi delle regole da rispettare per sopravvivere, dato che al crepuscolo chiunque si trovi fuori dal “covo” viene ucciso da misteriose creature. Ed è proprio per assecondare queste presenze che il quartetto ogni notte si dispone davanti a una parete a specchio e attende di essere osservato da fuori.
“The Watchers” inizia con una serie di simbolismi che sembrano voler raffigurare il peregrinare doloroso di una persona nel proprio inconscio inferiore. Del resto nel prologo c’è una foresta avvolta da nebbia e semioscurità, si parla di anime perdute e di punti di non ritorno, della necessità di seguire la luce e si assiste al tentativo a vuoto di uscire da quello che appare un incubo circolare. Lo stesso pappagallo giallo di cui la protagonista regge sempre la gabbietta mentre percorre la labirintica selva rammenta una specie di preziosa lanterna e, a tempo debito, avrà una funzione narrativa coerente rispetto a questa prima impressione. Che sia la rappresentazione fisica della speranza, dell’autocoscienza o del Sé, il pennuto è biondo proprio come la “strega” di cui diventa il famiglio.
Non importa che i personaggi siano interiormente persi o in fuga da qualcosa, ad accomunarli è l’aver smarrito le coordinate, essere obbligati a guardarsi allo specchio (anche in senso metaforico) ed essere soggetti all’incontro con l’orrore da mezzanotte all’alba, le ore rischiose per chiunque abbia preoccupazioni o coscienza ingolfata.
Con la luce invece non c’è nulla da temere, proprio come avviene ogni volta che abbiamo possibilità di discernimento. «La foresta tira fuori il peggio da ognuno» viene detto ad un certo punto ed è quel che avviene nei pantani emotivi, spirituali e psicologici in cui ci si può trovare “nel mezzo del cammin di nostra vita”.
Nel covo, paradosso grottesco per chi già è rinchiuso e osservato in stile Grande Fratello, l’unica possibile finta evasione dalla cattività è anestetizzarsi guardando le vite degli altri che poi sono fiction da reality show; difficile non vedere un riferimento alla nostra società, ivi compresi i social.
“The Watchers” invita a essere consapevoli di come ognuno abbia una zona in piena luce e una cantina buia, luoghi destinati entrambi ad essere frequentati dalla percezione di sé. Trovarsi allo specchio, costretti a guardarsi, significa scendere a patti con questa verità e scoprire nell’empatia verso il nostro doppio, ovvero il prossimo, il seme del perdono di sé.
Un po’ “The Blair Witch Project" e un po’ “La foresta dei sogni” di Gus Van Sant, il film punta molto sull’atmosfera affascinante ed evocativa. La regista ventiquattrenne imbastisce la sua idea di intrattenimento soprannaturale mettendo insieme in "The Watchers" miti del folklore irlandese, mostri interiori e voyeurismo contemporaneo.
L’alternanza di informazioni e avvenimenti genera tensione, mentre un’ulteriore allure decadente è regalata dall’estetica vintage fatta di vinili, televisori con il tubo catodico e computer dei primi anni 2000.
Ishana Night Shyamalan ricalca in parte la poetica paterna: la struttura di base è la stessa, per non parlare del twist nel terzo atto (vero marchio di famiglia).
Nonostante qualche buco di sceneggiatura e alcune ingenuità di troppo, questo ibrido tra horror, mistery, survival movie e racconto simbolico può dirsi tutto sommato riuscito. Sarà interessante scoprire se nei prossimi film la giovane cineasta partorirà un'opera dallo stile più personale.
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