Le città degli animali

L'ultimo caso è di qualche giorno fa: un capriolo avvistato alle porte di Trezzano sul Naviglio, periferia di Milano

Le città degli animali

L'ultimo caso è di qualche giorno fa: un capriolo avvistato alle porte di Trezzano sul Naviglio, periferia di Milano. Era rimasto intrappolato in un corso d'acqua in secca ed è stato salvato dalla polizia metropolitana. Pochi giorni prima un'altra famiglia della stessa specie era stata recuperata all'interno dell'ex area Ginori di Sesto Fiorentino, mentre a fine febbraio un cervo si era concesso una scorribanda fra i condomini di Brugherio, Cernusco sul Naviglio e Vimodrone, ancora una volta hinterland del capoluogo lombardo. Gli avvistamenti di esemplari selvatici in città destano sempre grande stupore, ma stanno diventando più numerosi. Perché i centri abitati sono per loro fonte di cibo, calore e protezione. Per questo l'istinto di sopravvivenza, che spinge queste specie a temere l'uomo, cede il passo all'opportunismo. Accade così che i lupi si affaccino sull'Aurelia e la Cristoforo Colombo, a Roma, gironzolando nei quartieri più periferici durante la notte. O che i falchi pellegrini decidano di fare il nido sul Pirellone di Milano. L'urbanizzazione delle specie selvatiche è insomma un fenomeno in corso: coinvolge mammiferi, volatili, anfibi, rettili e insetti. Non solo in tempi di pandemia, che si limita solo a rendere più visibile quello che sta accadendo da anni.

PERICOLO E CIBO

Il Wwf, che ha disegnato una mappa delle presenze selvatiche in città, ha scoperto tra l'altro che Milano è stata scelta come nuova casa dalla testuggine palustre europea, così come da procioni, aironi cenerini, gheppi e gufi comuni. A Trento e dintorni è invece più facile incontrare orsi, aquile reali, rondini di montagna e gufi reali. Ci sono poi gli istrici, ormai comuni a Firenze, le volpi, i pappagalli e i granchi di acqua dolce molto numerosi a Roma. E ancora i passeri solitari a Napoli, i falchi di palude a Cagliari, il rondone pallido a Palermo, il nibbio reale a Matera, le faine ad Ancona e il gruccione a Bologna. «Gli animali percepiscono le città come pericolose, ma al tempo stesso trovano più facilmente cibo, calore e assenza di predatori spiega Maurizio Casiraghi, zoologo dell'università Milano-Bicocca -. Ciò che li spinge verso i centri urbani è la progressiva erosione del loro habitat naturale, così come i cambiamenti delle metropoli, che sono più verdi rispetto al passato e quindi più accoglienti».

Ecco perché nel centro di Milano è meno raro incontrare i silvilago detti anche mini lepre o i pappagalli parrocchetti. Nei grandi parchi di Roma gli istrici, come a Firenze, sono di casa. «Abbiamo notato anche l'urbanizzazione di rospi smeraldini, picchi rossi, volpi, cinghiali, civette, barbagianni e pipistrelli», aggiunge Isabella Pratesi, direttore del programma di conservazione del Wwf Italia. Ad accomunare specie così diverse sono caratteristiche che rendono la loro vita in città, così come la convivenza con l'uomo, meno difficile. «Generalmente si tratta di animali più flessibili rispetto agli ambienti che evolvono. E quindi più opportunisti e generalisti», dice Piero Genovesi, Responsabile servizio coordinamento fauna selvatica dell'Ispra. Tutti hanno imparato a cambiare le proprie abitudini in funzione dei ritmi dell'uomo e del suo ambiente, adattandosi perfino allo smog. Alcuni anfibi hanno, per esempio, eletto fontanili e pozzanghere dei parchi urbani a nuovo habitat. Civette e falchi pellegrini approfittano invece di grattacieli, ruderi o mura antiche per fare il nido. «Nelle città con forte inquinamento acustico gli uccelli hanno cominciato a usare toni più alti per farsi sentire. Ce ne siamo accorti durante il lockdown, quando le strade erano deserte e i loro cinguettii dominavano il silenzio prosegue Pratesi -. Alcune falene si sono invece adattate a vivere sulla corteccia degli alberi inquinati. Per farlo hanno cambiato colore, passando dal bianco al nero, in modo da camuffarsi meglio».

La capacità di resilienza delle specie selvatiche ha spinto i passeri a sincronizzare il proprio orologio biologico con quello dei turisti, al quale cercano di strappare un pezzo di pane, e i gabbiani a seguire l'orario di chiusura delle pescherie, per rubare ciò che avanza. Mentre volpi e cinghiali hanno cambiato dieta, cibandosi di spazzatura. «Uno studio pubblicato nel 2018 dalla rivista Science ha dimostrato che molti mammiferi selvatici urbanizzati hanno intensificato la propria attività notturna, rispetto a quanto accade in natura, per evitare l'uomo - evidenzia Genovesi -. La capacità di adattamento è così elevata da aver spinto i lupi a mangiare nelle discariche».

CONFLITTO LATENTE

Naturalmente la convivenza non è sempre semplice. E così, in queste nuove città trasformate in parchi zoologici capita a volte che nascano conflitti. Il caso tipo è quello dei cinghiali, che ormai scorrazzano in quasi tutte le periferie alla ricerca di cassonetti e rifiuti abbandonati. «Fino a qualche decennio fa erano presenti solo in due o tre aree urbane del Paese afferma Genovesi -, adesso sono praticamente ovunque e sono più di un milione nelle città italiane». Difficile è anche la convivenza con i lupi e gli orsi, che però si guardano bene dall'avvicinarsi troppo. «Anche gli storni possono creare difficoltà, vista la loro tendenza a creare dormitori chiassosi e sporchi, così come i pappagalli, perché mangiano i boccioli dei fiori spiega Pratesi -. Mentre le cornacchie tendono a rovistare nell'immondizia, che spargono ovunque. Si tratta comunque di problemi risolvibili, l'impatto di queste specie sull'uomo non è pericoloso».

Proprio su questo però la scienza si interroga. Perché molte delle nuove malattie apparse negli ultimi anni derivano proprio dal mondo animale. «La presenza delle specie selvatiche in città crea problemi innanzi tutto a loro chiarisce Nicola Ferrari, veterinario dell'università Statale di Milano -. È vero che gli esemplari si adattano, ma è altrettanto vero che il loro stato di salute e il loro equilibrio ormonale in alcuni casi viene sconvolto. I cinghiali che rovistano nella spazzatura possono, per esempio, essere colpiti da malattie e infezioni anche gravi. Ma le specie selvatiche possono anche portare patologie all'uomo. Il 60% delle nuove infezioni è di origine animale, di queste il 70% arriva dalla fauna selvatica». Si parla di malattie come Ebola, Sars, Sindrome della mucca pazza. «Da oltre vent'anni si studia il nesso fra convivenza sempre più stretta con l'uomo e aumento di queste patologie. Anche se non esistono ancora evidenze scientifiche certe, la sovrapposizione fra ambito selvatico e urbano può giocare un ruolo», spiega l'esperto.

EQUILIBRIO CERCASI

La colpa, in questo caso, non è però della natura. «Le globalizzazione ha reso più facili le occasioni di contatto e incontro prosegue Ferrari -. Ma accade più spesso che non siano gli animali a entrare in città, quanto piuttosto gli uomini a invadere i loro spazi distruggendone l'habitat. Non è un caso che le aree più esposte alle malattie emergenti siano quelle interessate da un forte sviluppo ed espansione, come per esempio il Sud-Est asiatico». Trovare un equilibrio è comunque possibile. E soprattutto necessario visto che questa invasione silenziosa è destinata a proseguire. Come dimostra il caso dello sciacallo dorato.

Il piccolo predatore è molto comune nei Paesi dell'Europa dell'Est e in Israele è ormai presente in quasi tutte le aree urbane. Da qualche anno ha scoperto le campagne di Parma; da qui, mese dopo mese, si sta espandendo in tutto il Centro Italia.

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