Quando il Fisco sbaglia: come difendersi dagli errori dell'Erario

Chi è stato raggiunto da un atto che ritiene non veritiero o illegittimo può avviare il processo tributario, strumento che merita un approfondimento prima che il contribuente vi faccia ricorso

Quando il Fisco sbaglia: come difendersi dagli errori dell'Erario

Un cittadino o un’azienda si sentono spesso troppo piccoli per avviare un contenzioso contro le entità fiscali, siano queste nazionali, regionali oppure locali.

Eppure, il legislatore ha previsto degli strumenti, in questo caso il contenzioso e il processo tributario, che sono facilmente accessibili e mettono fisco e contribuente sullo stesso piano, a patto che chi vi ricorre abbia le prove che certifichino una richiesta illegittima o fuori misura da parte del fisco.

A partire dal mese di luglio del 2019 è entrato in vigore il processo tributario telematico (chiamato in gergo Ptt) ed è lo strumento di riferimento per la maggior parte dei contenziosi di questo genere. Ne sono esenti le controversie di importi inferiori ai 3.000 euro per la cui soluzione il contribuente non si avvale di un avvocato. In questa breve guida illustriamo i passaggi proprio a vantaggio di chi non ha un rappresentante legale, fermo restando che costi o procedura sono uguali, a prescindere dal fatto che il processo tributario sia stato avviato in forma cartacea o telematica.

Il processo tributario

Quando un contribuente riceve una richiesta che ritiene essere sbagliata o del tutto illegittima, può aprire un contenzioso tributario il quale, al pari di ogni altra procedura, ha una propria disciplina. Così, quando si è confrontati per esempio con una cartella di pagamento o un avviso di accertamento che appare illegittimo, privo di fondamento o in ogni caso sbagliato, si può avviare un contenzioso ricorrendo alla Commissione tributaria provinciale al fine di chiedere l’annullamento dell’atto e che può essere riconosciuto in modo totale oppure soltanto parziale.

L'obiezione alle autorità tributarie non è così anomala come si possa credere.

La Commissione tributaria

La Commissione tributaria adita deve essere quella competente a livello provinciale (qui gli indirizzi di tutte le commissioni) e il ricorrente vi si deve rivolgere entro i sessanta giorni dal momento in cui l’atto impugnato è stato ricevuto. Il termine sale a 90 giorni se il contribuente non ha ottenuto risposta dall’Agenzia delle entrate quando ha contestato l’atto ricevuto. Il mese di agosto corrisponde a una sospensione dei termini.

Nel ricorso devono essere citate sia l’indicazione dell’atto impugnato sia il nome dell’ufficio contro il quale si sta ricorrendo e le ragioni per le quali si sta opponendo ricorso. Allo stesso modo il contribuente deve indicare i propri dati, codice fiscale incluso, il nome e l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) del suo rappresentante legale. In assenza di questi dati il ricorso viene ritenuto inammissibile.

Va ribadito che l’ufficio dal quale proviene l’atto impugnato deve ricevere notifica del ricorso intentato e la consegna può avvenire tramite ufficiale giudiziario, per posta elettronica certificata, per mezzo di una consegna effettuata direttamente all’ufficio competente o mediante raccomandata con ricevuta di ritorno e senza busta. Dopo avere inviato la notifica il contribuente ha trenta giorni di tempo per costituirsi in giudizio, termine entro il quale deve inviare alla Commissione tributaria il ricorso e prova dell’avvenuta notifica all’ufficio che ha emesso l’atto contestato. Nel ricorso va ovviamente indicata la somma oggetto della controversia, anche perché su questa viene calcolato il contributo unificato che il ricorrente deve versare.

Il contributo unificato

Quando il contribuente avvia la costituzione in giudizio deve presentare la nota di iscrizione a ruolo nella quale sono indicati l’atto impugnato, l’importo contestato, l’oggetto del ricorso e la data in cui questo è stato notificato.

Il contenzioso ha un costo che viene riconosciuto da chi oppone ricorso, pagando il contributo unificato che varia a seconda dell’importo della lite:

  • Per importi fino a € 2.582,28 il contributo unificato è di 30 euro
  • Per importi tra € 2.582,29 e € 5.000,00 il contributo unificato è di 60 euro
  • Per importi tra € 5.000,01 e € 25.000,00 il contributo unificato è di 120 euro
  • Per importi tra € 25.000,01 e € 75.000,00 il contributo unificato è pari a 240 euro
  • Per importi tra 75.000,01 e € 200.000,00 il contributo è di 500 euro
  • Per importi del contenzioso superiori a € 200.000,01 il contributo è di 1.500 euro.

Il valore della lite è relativo all’importo del tributo contestato al netto delle sanzioni e degli interessi. Nel caso in cui la lite fosse imperniata soltanto attorno alle sanzioni, allora è l’importo di queste a essere determinante.

Il contributo unificato può essere pagato presso una tabaccheria, mediante modello F23 con codice tributo 171T oppure con un bollettino postale intestato a “Tes. Viterbo – Contrib. Proc. Trib. Art. 37 DL 98/0211”, conto corrente 100376927.

Gli importi contestati

La presentazione di un ricorso non esime il contribuente dal pagamento di quanto intimatogli attraverso l’atto che sta impugnando. È necessario pagare un terzo delle imposte contestate inclusive degli interessi e, nel momento in cui il ricorso fosse accolto, l’ufficio che ha emesso l’atto provvederà al rimborso anch’esso inclusivo di interessi. Il rimborso deve essere effettuato entro 90 giorni dalla notifica della sentenza e se questo non avviene, il contribuente potrà adire nuovamente la Commissione tributaria regionale per chiedere l’esecuzione del versamento.

Il contribuente può chiedere alla Commissione tributaria la sospensione degli effetti giuridici dell’atto che contesta, a patto che sia in grado di provare che il pagamento dell’importo richiesto gli arrechi un danno irreparabile. La decisione relativa alla sospensione dell’atto deve giungere entro sei mesi dalla richiesta e, nel caso in cui venisse accettata, resterebbe in vigore fino alla sentenza di primo grado.

Il ricorso

Di norma le parti non partecipano alla discussione del ricorso, che viene affrontata in camera di consiglio. Per fare in modo che il dibattimento sia pubblico occorre che il ricorrente ne faccia apposita richiesta depositando un’istanza presso la segreteria della Commissione tributaria. Al massimo trenta giorni dopo la deliberazione, la sentenza viene resa pubblica e il contribuente dovrà notificarla all’ufficio contro la cui decisione ha opposto ricorso il quale, se necessario, dovrà adeguarsi al dispositivo anche se non è definitivo. Le sentenze che riguardano operazioni catastali e il versamento di denaro ai contribuenti sono immediatamente esecutive.

Appello contro la sentenza della Commissione provinciale

Chi vuole ricorrere contro la sentenza della Commissione provinciale può rivolgersi alla Commissione regionale competente entro i sessanta giorni dalla data della notifica della decisione. In assenza di notifica della sentenza il termine sale a sei mesi a partire dalla data in cui la stessa è stata pubblicata.

Anche la decisione della Commissione regionale può essere impugnata, ricorrendo in questo caso alla Cassazione, anche se questa possibilità è confinata alla presenza di almeno una di queste condizioni:

  • Il diritto vigente è stato applicato in modo errato
  • Le norme sulla competenza sono state violate
  • La sentenza appare contraddittoria o manca la motivazione

Ci sono inoltre condizioni grazie alle quali si può adire la Cassazione senza passare dalla Commissione regionale.

Si tratta di una particolarità ascrivibile soltanto alle questioni di diritto e verificabile soltanto quando tutte le parti coinvolte sono concordi nel saltare la Commissione regionale e rivolgersi subito al più alto grado di giudizio.

Per opporsi in modo confacente alle regole, esistono dei moduli standard che vanno compilati nel modo opportuno e possono essere prelevati qui.

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