A braccetto, confinate nella provincia del calcio europeo: destino comunque per City e United, a pochi minuti di distanza mercoledì sera le due squadre di Manchester sono passate dalle notti magiche della Champions League all'anonimato periferico della Europa League. Vera retrocessione sul palcoscenico internazionale che equivale a un ridimensionamento dei due progetti, sì completamente diversi ma dall'identico finale. Perchè nè la pioggia di milioni dello sceicco Mansour nè la linea verde sposata da Sir Alex Ferguson sono bastate per l'approdo agli ottavi di Champions. Detto questo gli inglesi continuano a credere più in Chelsea e Arsenal che alle tre italiane (vedi quote William Hill). Vedremo.
Ma se per il City, che si può consolare con il primato in Premier League, l'epilogo era ampiamente previsto (e prevedibile) dopo la sconfitta del San Paolo, clamorosa quanto inattesa è stata l'eliminazione dello United. Non solo i Red Devils in due sole altre occasioni (1995 e 2006) nell'era Champions erano usciti così presto, ma soprattutto erano stati finalisti tre volte nelle ultime quattro edizioni. A maggio la sconfitta contro il Barcellona a Wembley, meno di sei mesi più tardi quella al St. Jakob-Park di Basilea che sancisce l'uscita dall'Europa che conta. Fallimento uguale a quello dei cugini, ma con un necessario distinguo: perchè se il City è stato sorteggiato nel gruppo di ferro con Bayern Monaco, Napoli e Villarreal, quello pescato da Ferguson era tutt'altro che irresistibile (Basilea, Benfica e Otelul Galati). Ciononostante lo United è riuscito a pareggiare tre partite e perdere lo scontro diretto con gli svizzeri. Evidente, quindi ancor più colpevole, la sottovalutazione dell'appuntamento europeo da parte del manager scozzese, che soprattutto nelle prime giornate ha fatto abbondante ricorso al turnover. «Ma dalle delusioni più cocenti siamo sempre ripartiti più forti», cerca coraggio dopo la disfatta Ferguson. Parole che però non bastano a restituire fiducia ad una squadra che all'improvviso si è svegliata fragile e vulnerabile. Il primo campanello d'allarme una settimana fa quando le seconde linee erano state battute all'Old Trafford dal Crystal Palace (seconda divisione) in Coppa di Lega. In Svizzera le prime scelte non hanno fatto meglio: il declino dei senatori (Rio Ferdinand, Ryan Giggs), gli infortuni (Nemanja Vidic e Chicharito Hernandez) e l'inevitabile incostanza dei più giovani (Chris Smalling, David de Gea, Danny Welbeck) hanno dunque prodotto un mix di insuccesso.
Decisamente meno grigio il cielo sopra l'Ethiad stadium, la fortezza dei citiziens. Perchè dopo quattro mesi dall'inizio della stagione la squadra di Mancini ha sbagliato una sola partita, quella di Napoli. Certo, una sconfitta grave, addirittura fatale alla luce dell'eliminazione finale. Ma che non può cancellare quanto di buono ha fatto e sta facendo (vittoria sul Bayern Monaco inclusa) il City. Dominatore in campionato, con miglior attacco e difesa. La cessione di Carlos Tevez consentirà a Mancini di puntellare una rosa che è già formidabile, ma che soprattutto ha ormai acquisito una sua precisa identità.
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