Clima, con ali più piccole e più magri a rischio i migratori

L'allarme da uno studio del Carnegie Museum of Natural History della Pennsylvania durato 40 anni: i cambiamenti climatici obbligano gli uccelli migratori a una «cura dimagrante» e sottraggono loro porzioni sempre più ampie degli habitat naturali. Specie a rischio

Una «cura dimagrante» forzata per gli uccelli migratori a causa dei cambiamenti climatici. Col rischio che gli spazi di habitat naturali si riducano sempre di più, mettendo a repentaglio la gran parte delle specie. L'allarme viene da due studi Usa, ma secondo gli esperti può essere tranquillamente trasferito sul territorio europeo. A rendersi conto della perdita di peso dei volatili americani è stato uno studio del Carnegie Museum of Natural History della Pennsylvania durato 40 anni. I ricercatori hanno esaminato i dati di quasi mezzo milione di esemplari di migratori che sono stati catturati e poi rilasciati dalla postazione scientifica del museo tra il 1961 e il 2007, trovando che la maggior parte delle specie ha progressivamente diminuito il suo peso medio. In particolare erano dimagrite e avevano ali più piccole 60 specie di migratori primaverili su 83 studiate e 66 specie di migratori autunnali su 75. Le variazioni vanno da un minimo dell'1% a un massimo del 5%, cifre ritenute dagli esperti comunque significative. «La perdita di peso è un'indicazione di uno scarso benessere fisico - commenta Claudio Celada, esperto della Lipu - quello che succede è che con i cambiamenti climatici viene meno il sincronismo tra i momenti in cui questi animali hanno più bisogno di nutrirsi, come la riproduzione o alcune fasi della migrazione, e quelli in cui c'è la maggiore disponibilità di cibo». Oltre alla «dieta forzata», per gli uccelli c'è un altro pericolo, messo in luce dal rapporto annuale «State of Birds» pubblicato dal Dipartimento degli Interni statunitense e compilato dalle maggiori agenzie federali e da alcuni gruppi ambientalisti: la perdita dell'habitat naturale. Secondo il documento, che ha assegnato il livello di vulnerabilità a tutte le specie degli Usa, a rischiare di più sono quelle che vivono vicino al mare, minacciate dall'innalzamento del livello del mare. In particolare, il 100% delle specie di uccelli oceanici e il 90% di quelli hawaiani hanno un livello «alto» o 'mediò di vulnerabilità, mentre va meglio a quelli che vivono nelle foreste o nelle zone aride, di cui è ad alto rischio una percentuale intorno al 10%.
Ma il pericolo è concreto anche in Europa, come sottolinea l'Atlante Climatico delle specie europee pubblicato dall'università inglese di Durham, secondo cui tre quarti delle specie europee sono a rischio per i cambiamenti climatici. «Quello che si è già visto in Europa è che con l'aumentare della temperatura media molte specie si stanno spingendo verso nord-est, alla ricerca di climi più simili a quelli di una volta - conferma Celada - ma non tutti ci riescono. La pulcinella di mare, ad esempio, che vive nelle coste Atlantiche, ha visto un declino in molte colonie a causa del cambiamento di una corrente che portava molti pesci nelle zone riproduttive.

Per combattere questi fenomeni bisognerebbe adattare tutte le politiche, non solo quelle ambientali: quello che si può fare nel concreto è ad esempio allargare le aree protette, e connetterle tra loro per permettere lo spostamento dei migratori».

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