Coleman e Rollins non passano mai di moda

Entrambi 77enni, i due artisti star del Festival. Sottotono il duo Metheny-Mehldau

Coleman e Rollins non passano mai di moda

da Perugia

Questa volta Umbria Jazz, dopo alcuni anni in cui è andata un po’ troppo fuori pista, ha tenuto fede al nome che porta e ha scoperto che il jazz-jazz di classe può essere ancora vincente anche sotto il profilo del successo, e quindi economico. La conferenza stampa di chiusura della direzione artistica non ha dovuto ricorrere al consueto trionfalismo di maniera: gli esiti musicali positivi sono stati conseguiti in abbondanza, malgrado lo spiacevole episodio (extramusicale) di Keith Jarrett. Anzi l'edizione 2007 è stata una delle migliori della rassegna. Rimane il problema di quali altri nomi di richiamo ci siano nel settore, dopo aver proposto tutti in una volta Sonny Rollins, Ornette Coleman, Pat Metheny, Brad Mehldau, Keith Jarrett, Cedar Walton. Ma con molta attenzione (e anche «sconfinando» con prudenza) si può continuare.
Il merito dell'ottimo esito va in gran parte ai due senatori, Ornette Coleman e Sonny Rollins, che sono praticamente coetanei: Coleman è nato a Fort Worth, nel Texas, il 19 marzo 1930, e Rollins a New York il 7 settembre dello stesso anno. Il profeta del jazz informale - che ha avuto una carriera meno logorante rispetto a quella di un «soffiatore terribile» come Rollins - si è preoccupato di dare un nuovo assetto alla sua formazione. Oltre al figlio Denardo alla batteria si è portato appresso addirittura tre contrabbassisti, ciascuno con una funzione diversa: Tony Falanga prossimo alla musica classica e devoto all'archetto più che al pizzicato; Charnett Moffett modernissimo e jazzy; Al MacDowell generosamente elettrico. In questo modo, pur proponendo un programma poco dissimile dai concerti italiani dell'autunno scorso, con l'immancabile Lonely Woman come bis, Coleman ha realizzato una sorta di sintesi stilistica fra il vecchio quartetto e il suo sestetto Prime Time. Si è guadagnato così una stupenda standing ovation alla carriera, toccata peraltro - con pieno merito - pure a Rollins. Il quale ha sempre la sonorità turgida e vigorosa a tutti nota, tuttavia - ahimè - gli anni non passano invano nemmeno per «Saxophone Colossus». Rollins non ruba più la scena al suo trombonista Clifton Anderson, rifiata spesso e non ricorre ai trascinanti calypso del passato. Ma ha offerto ugualmente un concerto superbo.
Qualche riserva, invece, si deve fare per il duo di lusso Metheny-Mehldau (più Larry Grenadier contrabbasso e Jeff Ballard batteria). Lo straordinario livello del plurichitarrista e del pianista è fuori discussione, ma i due protagonisti - confermando in ciò i rilievi rivolti ai loro dischi, dei quali hanno ripetuto pari pari i numerosi brani in un concerto durato quasi due ore e mezza - non sempre vanno d'accordo e talvolta si danneggiano a vicenda.
Nella main street di Perugia, corso Vannucci, non si placano intanto i commenti agli insulti di Keith Jarrett alla città a causa (premeditata) dei flash dei fotografi. L'ormai nota lettera jarrettiana di scuse ha sollevato anche commenti sarcastici perché l'ha scritta e firmata il suo agente e non lui.

I critici più avveduti suggeriscono al pianista di imitare uno dei suoi idoli, Glenn Gould, che a un certo momento si ritirò dall'agone concertistico per inseguire la perfezione negli studi di registrazione. È un ottimo consiglio: le doti non gli mancano.

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