Una collezione di primati Ecco il paese dei balocchi

Un quarto dei giocattoli del mondo vengono da Praga. Un business che raggiunge i 2 miliardi

Una collezione di primati Ecco il paese dei balocchi

Ivan Karhan è un ingegnere. Nella vita precedente progettava impianti di condizionamento nella sua città, Praga. Oggi che quella vita l'ha archiviata, sul biglietto da visita ha mantenuto la qualifica «ing.». Ma di fianco al suo nome ora c'è quello del negozio di giocattoli che gestisce nel cuore della capitale ceca. Il cavallo a dondolo sopra l'insegna fa intuire che, lì dentro, di videogiochi non se ne troveranno: si tratta piuttosto di un santuario dei giochi tradizionali. Le mensole sono cariche di animaletti in legno, case in miniatura e set da costruzioni. Una scelta azzardata, quella di lasciare il «posto fisso»? No, o almeno non secondo gli ultimi dati sul business dei «balocchi». Stando all'ultimo rapporto Eurostat, la Repubblica ceca è il primo esportatore di giochi nell'Unione europea: un quarto dei giocattoli che dal vecchio continente entra nelle case dei bambini di tutto il mondo (soprattutto Usa, Svizzera e Russia) è ceco. Un giro d'affari che frutta al Paese oltre 50 miliardi di corone l'anno - poco meno di due miliardi di euro - e che ha permesso a Praga di scalzare lo storico primato tedesco.

No, non è solo merito della delocalizzazione. Un ruolo l'hanno avuto, sì, i colossi del settore che hanno trasferito la produzione nell'ex blocco comunista. A partire da Lego, che dà lavoro a circa duemila persone nello stabilimento di Kladno, poco fuori Praga, una delle quattro sedi dell'azienda danese nel mondo. O la tedesca Playmobil, che in nome degli affari ha persino messo da parte l'antica rivalità e ha archiviato la vicenda Igráek, versione socialista dei suoi ometti messa in commercio dall'allora Cecoslovacchia negli anni Settanta. Non sono solo queste e altre imprese leader a spingere le esportazioni. In Repubblica ceca quella di costruire giocattoli è un'arte che affonda le radici nei secoli passati. Che nasce dall'abilità di lavorare il legno, di cui il Paese è ricco, e da una maestria tramandata nelle generazioni. E così almeno un terzo degli articoli esportati nel mondo è da mettere in conto alla tradizione locale. Una «lunga tradizione di esperienza, produzione e aziende gestite bene», come sintetizza Karhan.

Per ritrovarne l'inizio bisogna fare un salto indietro fino al medioevo, con i suoi diavoli, angeli e streghe: le figure fiabesche che popolavano gli spettacoli itineranti di marionette. Le famiglie di burattinai si muovevano in lungo e in largo per il Paese con i propri personaggi di legno o ceramica: di volta in volta si fermavano in un pub, allestivano lo spettacolo nella sala da ballo e si esibivano al pomeriggio per i bambini e la sera per gli adulti. Tracce di questa tradizione sopravvivono ancora: sono nove i teatri professionali di marionette oggi nel Paese, oltre a un centinaio di teatri indipendenti e circa 300 compagnie amatoriali che praticano quest'arte, dal 2016 inserita dall'Unesco nell'elenco dei patrimoni intangibili dell'umanità. Questa pratica si è poi saldata con la vocazione industriale di Boemia e Moravia, vera anima produttiva dell'impero austroungarico di cui facevano parte. E così, insieme alle auto, la birra e i celeberrimi cristalli, nacque anche il business ludico. È con il Novecento, però, che quest'arte viene consacrata: la manualità si fonde con la ricerca estetica e con la voglia di creare qualcosa in grado di spiazzare. Basti pensare che viene tirato in ballo pure il cubismo. È la Cooperativa Artel a farlo, con i suoi artisti impegnati in una battaglia contro il gusto provinciale e conformista: oltre a gioielli, tessuti e piccolo arredamento, la nuova onda creativa coinvolge anche i giocattoli. Che diventano oggetti di design: vere e proprie «opere d'arte funzionali», come le chiama Tereza Bruthansová, storica dell'arte e curatrice di «Mini Wonders», mostra che sta portando in giro per il mondo i pezzi più iconici della storia dei giocattoli cechi. «La chiave di questo sviluppo è stato il fatto che designer e artisti collaboravano, dando vita a forme innovative», spiega l'esperta. L'articolo più antico in esposizione è la cosiddetta «scatola del diavolo» del 1920, un cubo apribile con testa e arti dipinto dal pittore Vaclav Spala. Avanzando agli anni Trenta è la volta degli animali geometrici di Ladislav Sutnar, mentre per gli anni Cinquanta presenziano le macchinine e i trattori metallici di Kovap. Decennio che meriterebbe un capitolo a parte, perché all'Esposizione universale del '58 a Bruxelles la Cecoslovacchia decise di partecipare proprio con un'esposizione di giochi per bambini (che vinse il Grand Prix): lungimirante. Colori fluo e plastica fanno terminare il viaggio negli anni Settanta, con gli animali gonfiabili di Fatra. Brand che tuttora collabora con giovani artisti per rinnovare l'offerta. Insomma, giocare può essere una cosa molto seria. Lo sa bene Bruthansová, che ha voluto esporre solo quei giocattoli che sono ancora in voga tra i bambini o che gli adulti continuano a collezionare e sfoggiare come pezzi d'arredamento. «Sono giochi - spiega - che hanno segnato e segneranno più di una generazione». E che non hanno bisogno di competere con il digitale.

L'ingegnere Karhan può stare sereno: sembrerebbe avere fatto la scelta giusta. L'affetto che gli dimostrano i clienti, cechi e internazionali, va in quella direzione. Fin troppo. Tanto che, a vent'anni dall'inaugurazione, il negozio raramente abbassa la serranda.

Natale, Capodanno, non c'è festa che tenga. «Due anni fa - racconta - una coppia di americani che vive a Praga mi ha chiamato la mattina del 25 dicembre per chiedermi se il negozio fosse aperto: avevano dimenticato gli ultimi regali».

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