Il suo 25 aprile lo ha passato a Milano con Gabriele Albertini, deponendo due fiori, uno sulla tomba di un ex partigiano, e uno su quella di un ex militante della repubblica sociale. Ma Ignazio La Russa, ministro della difesa, ex dirigente del Msi, «figlio di un vinto», come si definisce lui stesso, è convinto che questo anniversario segni uno spartiacque nella contesa memoriale sulle eredità della guerra civile del ’43-’45.
Ministro La Russa, cosa è successo di diverso?
«È accaduto qualcosa di nuovo. Un salto di qualità che fino a oggi non si era mai prodotto. Ora è possibile una conciliazione vera tra le memorie divise delle due Italie».
Cosa?
«È terminato l’infinito dopoguerra. Il gesto di Berlusconi e il discorso del presidente Napolitano ci portano fuori dallo stallo delle memorie inconciliabili e dei rancori infiniti, che entrambe le parti, hanno subito, spesso contro la loro volontà».
Andiamo per ordine. Cosa è cambiato per Berlusconi?
«Lui, che nel ’94, come sappiamo, fu evocato come nuovo nemico del 25 aprile, ha celebrato pubblicamente l’anniversario. Non solo: ha raccolto l’invito di Franceschini a farlo insieme».
Merito di Franceschini…
(ride) «Lo ringrazio vivamente. Ma non credo che si aspettasse questo risultato: credeva che Berlusconi avrebbe rifiutato».
Perché secondo lei, Berlusconi ha fatto in questo anniversario quello che non aveva mai fatto prima?
«Perché ci sono le condizioni istituzionali e politiche per farlo».
E qui arriviamo a Napolitano.
«Il suo discorso è stato il passo più importate mai fatto da un esponente che viene dalla storia della sinistra, e afferma, in estrema sintesi, due cose importantissime».
Quali?
«Che, senza per questo parificare e cancellare le differenze, i valori della Costituzione e della libertà possono essere condivisi da tutti, a prescindere dal giudizio che danno sulla guerra civile. Sia dai figli dei vinti, che dai figli dei vincitori».
E poi?
«Ha detto che, senza per questo annullare le differenze tra chi ha combattuto da una parte e dall’altra, e riconoscendo a chi ha combattuto contro i tedeschi il merito di aver riportato la libertà, tutti coloro che hanno combattuto possono meritare rispetto».
Aveva detto cose simili anche nel suo discorso di insediamento.
«Stavolta lo ha detto con parole forti, chiare e solenni: lo ha detto nel momento giusto. E con l’autorità che gli deriva dal suo ruolo, e dal fatto di essere erede di chi ha combattuto per la Repubblica».
E lei condivide?
«In tutto e per tutto. Senza apparire immodesto, potrei dire che da anni mi batto perché ci siano le condizioni per questo discorso».
E cosa è cambiato oggi?
«Che Napolitano dice queste cose e nessuno insorge contro lui».
Perché non ha detto lei queste cose?
«Non tutti possono dire le stesse cose. Ci sono processi politici lenti, che preparano le svolte, e pesi diversi da sopportare».
Che cosa vuol dire?
«Che questo passo di reciproca accettazione, è più difficile da fare, per chi viene dalla cultura dei vincitori, che per chi è erede della cultura dei vinti».
Lei si sente erede di questa seconda storia.
«Io sono, anche simbolicamente, figlio di uno dei vinti. Però qui non parlo di fatti personali, ma di una grande conciliazione che per anni ci è parsa impossibile, e oggi finalmente si può compiere».
Anche lei ha fatto dei passi avanti?
«Oh, certo. Per i giovani del Msi, nel dopoguerra, i partigiani erano tutti nemici e assassini. Io, anche se so che ancora nella mia parte c’è chi coltiva queste memorie, non lo credo».
Voi a Fiuggi diceste: tutti i partigiani erano antifascisti, ma non tutti gli antifascisti volevano la libertà.
«Credo che nessuno lo possa contestare, sul piano storico».
Ma Berlusconi ha detto che tutti i liberatori, dai comunisti ai liberali, dai democristiani ai socialisti, agli azionisti, hanno avuto il merito di concorrere alla Costituzione. C’è una differenza.
«No. Anche io riconosco il merito di chi ha partecipato alla stesura della Costituzione, a prescindere dal fatto che, ovviamente, non condivida tutto quel che ha fatto».
Anche lei potrà partecipare a un corteo del 25 aprile, in futuro?
«Si devono creare le condizioni perché questo gesto non susciti ostilità sopite. Ripeto, ci sono delle frange minoritarie, a destra e a sinistra, che vogliono rinfocolare l’odio, per trarne legittimità».
Chi sono?
«Quelli che vogliono far girare al contrario le lancette della storia. Quelli che vogliono fermare il fotogramma della memoria, ai tempi in cui si girava per Milano con il mitra».
A chi si riferisce?
«A chi ha minacciato Alemanno, ad esempio. E a quelli che hanno fischiato Formigoni».
Ma siamo sicuri che la conciliazione sia possibile?
«Sì, perché oggi l’amore per la patria è un valore che unisce tutti».
Vuole esprimere un desiderio per l’anno prossimo?
«Che i giornalisti non chiedano solo a noi figli dei vinti dove andremo il 25 aprile. E che il dibattito sul 25 aprile non inizi il 25 marzo».
Un altro desiderio?
«Che qualcuno chieda a Franceschini dove passerà il suo 2 giugno. E che il dibattito sulla festa della Repubblica inizi prima del 1° giugno».
Che passo avanti farà l’anno prossimo?
«Mi piacerebbe deporre quei due fiori sulle tombe dei caduti con un partigiano e un ex della repubblica sociale».
E il disegno di legge sulle
«Mi crede? Di quelle non me frega nulla. Producono solo dibattiti sterili. Ci portano un passo indietro e non un passo avanti. Facciano quello che vogliono».
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