Com’è la salute dell’arte nel nostro Paese? Eccellente, sufficiente, così così? Viviamo in un periodo terribilmente contraddittorio e l’argomento è appassionante quanto difficile da inquadrare razionalmente.
Bisognerebbe innanzitutto cercare di definire l’arte di oggi, l’attualità dell’arte. Le vertiginose trasformazioni degli ultimi due decenni hanno inciso profondamente sul concetto di arte e su quello della sua fruizione. Mentre il diffondersi della cosiddetta «video-arte» sembra smantellare i concetti tradizionali di «arti visive» (ma entrambe le definizioni derivano dallo stesso verbo latino videre), si assiste al rinascere del figurativo che sfida gli ultimi artisti attestati sulla trincea dell’arte aniconica. Nel frattempo, manifestazioni come l’ultima Biennale veneziana delle arti lasciano sconcertati. Ha ragione Vittorio Sgarbi che trascinò il fresco ministro dei Beni culturali Buttiglione a rendersi conto dell’immane porcheria rappresentata dalla Biennale o hanno ragione coloro che ritengono che un lampadario fatto da centinaia di tampax sia un’opera d’arte?
Non dimentichiamo che la polemica intorno all’arte «contemporanea» è vecchia di oltre un secolo. Il termine «impressionismo» venne usato in senso dispregiativo dal critico francese Leroy nel 1874 a proposito del quadro Impression. Soleil levant di Monet esposto nello studio del fotografo Nadar. E undici anni prima al Salon des Réfusés, dove esposero i respinti dall’Académie des Beaux-Arts, parteciparono Monet, Pissarro, Whistler. Rifiutati, respinti dai cultori dell’arte tradizionale. Oggi, qualunque museo o organizzazione culturale voglia vendere biglietti senza fatica e trovarsi facilmente uno sponsor, non ha da fare altro che proporre una mostra di impressionisti e sa di andare sul sicuro. Universalmente osannati, amati, riprodotti, visitati. Fino alla noia
Bisogna dunque che un artista sia defunto (o molto anziano) perché gli si aprano le porte dei musei? E l’arte di oggi - la video-arte, le installazioni, le performance - potranno essere in qualche modo musealizzate? E il museo è la consacrazione dell’arte o la sua pietra tombale? I futuristi volevano chiudere i musei, ma al museo ci sono finiti anche loro, come tutti.
Forse l’unico atteggiamento possibile di fronte alla manifestazione d’arte - sia essa una scultura di Donatello o un igloo di Mario Merz o un video di Marina Abramovic - dovrebbe essere quello dell’umiltà e del rispetto. Lontani ormai nella storia i periodi in cui si combatteva «l’arte degenerata» o si costringevano gli artisti nella gabbia del «realismo socialista», l’essenza dell’arte rimane la libertà espressiva. E in un mondo fortemente controllato e controllabile qual è quello di oggi, dove la dittatura telematica mondiale ha sostituito le vecchie, care, feroci dittature di un tempo, essa è forse l’ultima libertà concessa all’uomo.
Per questo l’arte va difesa. Sempre e comunque. Essa è, è sempre stata, fragilissima. Le epoche passate ci hanno lasciato un numero immenso di capolavori, ma ignoriamo il numero complessivo di quelli che sono andati distrutti. Ogni guerra, ogni invasione, ogni terremoto, ogni alluvione, ogni cambio di regime ha lasciato dietro di sé un’ecatombe di opere d’arte. Che fossero i mongoli che si abbattevano sull’agonizzante impero romano o gli aerei inglesi che riducevano in briciole la millenaria abbazia di Montecassino, il risultato era sempre lo stesso: un brandello di arte negato al godimento degli uomini futuri. Eppure, dopo ogni disastro, gli uomini hanno sempre ricominciato a esprimersi attraverso l’arte. Un’arte magari non più serena come è l’arte del Novecento, drammaticamente segnata dagli orrori e dalle sofferenze che hanno lasciato la loro traccia sul colore sgocciolato come sangue di Pollock, sui tagli, le ferite, i grumi di materiale arso e corroso di Fontana e di Burri.
Ma tutto quello che contribuisce alla conoscenza contribuisce anche alla comprensione e quindi al rispetto e alla tutela. Che è poi quello di cui l’arte ha bisogno, soprattuttto in un Paese come l’Italia che sprezza i suoi monumenti antichi e abbandona il suo paesaggio alla speculazione.
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